Salerno — «Ho visto e sono venuto a conoscenza di cose che sarebbe stato meglio non sapere e non vedere. Vogliono portare la camorra nel Cilento, io farò di tutto perché non avvenga. Ma ho paura che mi facciano fuori». È una bella giornata di sole, Acciaroli è piena di turisti, il mare cristallino più che mai. Eppure Angelo Vassallo, il sindaco pescatore di Pollica, è preoccupato. Seduto al tavolino di un bar, si confida con un amico, Domenico Vaccaro, ex vicesindaco di un comune vicino.
Vassallo è turbato perché la droga ha invaso il suo paese e perché non riesce a fermare questo traffico. Sospetta coperture ad alto livello. È un uomo solo contro i narcos. Ma non si dà per vinto. Dal 20 agosto dell’estate 2010, l’ultima della sua vita, il sindaco pattuglia il porto dove sbarca lo stupefacente affiancato solo dalla polizia municipale.
Attraverso il suo amico Alfredo Greco, pm a Vallo della Lucania, prende appuntamento alla compagnia dei carabinieri di Agropoli per mettere nero su bianco ciò che aveva scoperto. L’incontro è fissato per il 26 agosto, ma una rapina in banca fa rinviare il colloquio al 6 settembre. La sera del 5, tra le 21.10 e le 21.12, Angelo Vassallo viene assassinato con 9 colpi di pistola mentre torna a casa.
Il corpo senza vita viene trovato a bordo della sua auto all’1.47. Tra i primi a giungere sul posto è il colonnello dei carabinieri Fabio Cagnazzo, a lungo investigatore di punta in delicate indagini anticamorra, in quel momento in vacanza in Cilento.
Quattordici anni dopo, l’alto ufficiale finisce in carcere con altre tre persone con l’accusa di concorso in omicidio premeditato e aggravato dalla finalità mafiosa. Il colonnello, 53 anni, figlio e fratello d’arte, già comandante provinciale a Frosinone, ora al nucleo Forestale, è accusato di aver coperto i responsabili «attraverso un’abile attività di depistaggio delle indagini».
In cella finiscono anche l’ex carabiniere Lazzaro Cioffi, 62 anni, già coinvolto in inchieste sui clan della droga al Parco Verde di Caivano, l’ex collaboratore di giustizia Romolo Ridosso, 63 anni, e l’imprenditore Giuseppe Cipriano, 56 anni, cugino di quel Raffaele Maurelli (nel frattempo scomparso), considerato il regista del traffico di droga che Vassallo era pronto a denunciare e nel quale, accusa la Procura, erano coinvolti anche Cagnazzo e Cioffi.
Nessuno degli arrestati deve rispondere come mandante o esecutore materiale del delitto. Tutti potranno replicare nell’interrogatorio e proporre ricorso al Riesame. «Sono sconcertata, a distanza di 14 anni non ci sono esigenze cautelari, né l’ordinanza offre particolari spunti su questo», afferma l’avvocata Ilaria Criscuolo, legale di Cagnazzo.
Nelle carte dell’inchiesta, condotta dai carabinieri del Ros e dalla Procura di Salerno diretta dal procuratore Giuseppe Borrelli con l’aggiunto Luigi Cannavale, uno scenario da romanzo nero. «Il sindaco si era determinato a denunciare. E questo era insopportabile per il colonnello Cagnazzo. Non solo nella prospettiva di una carcerazione, ma per la “perdita dell’onore” derivante dal coinvolgimento di un ufficiale dei carabinieri in un traffico di stupefacenti», dice uno dei testimoni, Eugenio D’Atri, ex compagno di cella di Ridosso.
Anche Ridosso rende dichiarazioni e sostiene che Cipriano aveva dato 50-60mila euro al carabiniere Cioffi per organizzare l’omicidio e garantire copertura. Subito dopo il delitto, Cagnazzo arriva sulla scena: raccoglie bossoli, prende mozziconi da terra e li mette in un sacchetto. Su una cicca sarà ritrovato il suo Dna.
Poi, è la tesi dei pm, si attiva per depistare le indagini, indirizzandole sin dalle prime fasi su Bruno Humberto Damiani, spacciatore italo-brasiliano, colpevole perfetto, ma estraneo al delitto: l’uffiiciale suggerisce di sottoporlo all’esame dello stube (che risulterà negativo) chiede a un suo collaboratore di acquisire «indebitamente, in assenza di ogni competenza», i filmati della videosorveglianza, redige un’annotazione ad hoc.
E c’è un altro dettaglio: un buco di circa 23 minuti, proprio in concomitanza con l’esecuzione dell’omicidio. Quella sera, Cagnazzo si intrattiene nel centro di Acciaroli con un gruppo di amici che, tra le 21.30 e le 21.35, va a cena nel ristorante di uno dei fratelli del sindaco.
Ma tra le 21.15 e fino alle 21.38, il colonnello si allontana dalla comitiva. I pm glielo contestano nell’interrogatorio durato oltre 11 ore sostenuto in Procura il 15 gennaio scorso. «Non sono in grado di ricostruire i miei movimenti nelle circostanze di tempo e di luogo anzidette», replica. Ma respinge tutte le accuse. Qualche giorno dopo il delitto, Ridosso riceve la visita di due uomini a bordo di un Suv nero. Quando rientra in casa, sostiene la compagna, l’uomo mormora tra sé: «Pure il pescatore lo abbiamo messo a posto».