Diego viene calato nell’acqua ghiacciata dell’Antartide, lui che era sin qui abituato al caldo Tirreno: lui è un aliante sottomarino di ultima generazione, tecnicamente un “glider”, un robot hi-tech comandato a distanza, ventiquattro ore al giorno, da un team dell’università Parthenope. Chiamato come Maradona, costa 300 mila euro, registrerà – facendo su e giù – tutti i parametri del mare: salinità, temperatura, contenuto di clorofilla e ossigeno e persino torbidità.
Inizia così la campagna oceanografica della 39esima spedizione in Antartide, una missione che parla molto napoletano: la Laura Bassi, nave di ricerca italiana, era partita proprio da Napoli il 25 novembre, un viaggio lunghissimo fino alla partenza effettiva della missione, lo scorso 6 gennaio da Lyttelton in Nuova Zelanda, e il via – proprio ieri, nella baia Terra Nova – a uno dei tre progetti che vedono in prima linea l’università Parthenope di Napoli, il “Tenore” (acronimo di “Terra Nova bay polynya high Resolution Experiment”), coordinato da Giannetta Fusco, tra le collaborazioni anche quella dell’università Vanvitelli.
Qui, dall’altro capo del mondo, si studiano le dinamiche fisiche e biogeochimiche di specifiche aree antartiche. L’obiettivo? Capire come sta cambiando il clima. Perché qui, nel Mare di Ross, dal nome di James Clark Ross, che nel 1841 si imbatté in una straordinaria barriera di ghiaccio di 500 mila chilometri quadrati, si gioca una partita importante per il futuro del pianeta. Da qui, in soldoni, parte la circolazione oceanica globale.
Partiranno così in queste ore anche il progetto “Signature” (PhySIcal and bioGeochemical traciNg of wATer masses at source areas and export gates in the Ross Sea and impact on the SoUtheRn OcEan), coordinato da Pierpaolo Falco dall’Università Politecnica delle Marche, che ha l’obiettivo di analizzare dal punto di vista biologico chimico e fisico le principali masse d’acqua del Mare di Ross e indagare la loro variabilità spaziale e temporale, e il progetto “MORsea” (Marine Observatory in the Ross Sea), coordinato da Giorgio Budillon della Parthenope e da Pasquale Castagno dell’Università degli Studi di Messina per la gestione della rete degli osservatori marini posizionati fin dal 1994 nel Mare di Ross.
A bordo della rompighiaccio in otto, tra ricercatori e tecnici, sono legati all’università Parthenope: tra loro tre giovanissimi, Andrea Molino e Simone Di Palma, dottorandi in Fenomeni e Rischi Ambientali, e Nancy Lucà, dottoranda in Scienze Polari.
Settimane di sacrifici e passioni per loro, che non a caso hanno dovuto superare specifici test atttudinali. “Ma era un sogno esserci”, dicono. Esserci, appunto, su una piccola città galleggiante che ha una stazza di 4028 tonnellate, strumentazioni hi-tech e camere decisamente anguste, in due nel giro di pochi metri. Fuori, distese di ghiaccio e, dopo le prime notti ultra-stellate (come da resoconto fotografico sui social della Parthenope), saranno 24 ore di luce al giorno. Quaranta giorni di lavoro e ricerca, poi si tornerà alla base. Con nuovi elementi in grado di svelarci qualcosa sul futuro del pianeta.