«È un ritorno, anche se in 22 anni molte cose sono cambiate, come in ogni libro che leggiamo e poi lo vediamo diverso. L’opera è quella di allora, ma gli spettacoli sono fatti per essere vivi».
Il regista Mario Martone nel foyer del San Carlo richiama le radici di una mise en scène per il “Don Giovanni” di Mozart che risale a quando si innamorò della versione di Peter Brook del ‘98 rappresentato a Aix-en-Provence. Una versione scenica “per sottrazione”, che piacque alla critica ma non al pubblico. Stèphane Lissner, che dal ‘98 al 2009 è stato direttore del festival francese, quella volta commentò: «C’è sempre qualcuno a cui non piace il nuovo».
Martone ricorda quei momenti e la forte attrazione che ebbe per il don Giovanni brookiano. La sua scena non è deserta, ma essenziale: campeggia una tribuna, un teatro nel teatro. O una plaza de toros per gli scontri tra maschile e femminile, oppure ancora una grande aula di tribunale. In fondo però che cosa troneggia in una scena più del mito che attraversa tante discipline – dall’antropologia alla religione, dalla filosofia alla storia – del simbolo di tutti i libertini, del padre di tutti i patriarcati: don Giovanni?
Dell’opera concepita per la prima volta per il San Carlo nel 2002 il regista aveva ricostruito la genesi mentale: «Ho avuto la visione della tribuna di questo Don Giovanni in una notte insonne. Qualcosa tra il teatro elisabettiano, un’arena spagnola, degli scranni di tribunale: tutti i personaggi dell’opera di Mozart e Da Ponte schierati insieme, in una sintesi dell’insieme vitale che lo slancio di Don Giovanni fende, conquista e offende, tutti, attori e spettatori allo stesso tempo. Nel sogno la tribuna progressivamente si svuotava, e venivano a galla la solitudine, l’apparizione del castigo e della morte, il crollo, e infine il senso di vuoto che avvolge l’ascoltatore nell’apparente lieto fine dell’opera. A quel sogno ho provato a restare fedele».
Debutterà il 16 febbraio, il dramma giocoso (un ossimoro, come l’intera storia, giocata su più registri). Nel ruolo del libertino c’è Andrzej Filo?czyk; Leporello è un connazionale polacco del protagonista, suo amico anche nella vita, Krzysztof B?czyk. Donna Elvira è Selene Zanetti, Donna Anna Roberta Mantegna, Don Ottavio è Bekhzod Davronov, nel ruolo di Zerlina, Valentina Nafornita, mentre Masetto è Pablo Ruiz e il Commendatore il napoletano Antonio Di Matteo. L’orchestra del San Carlo sarà diretta da Constantin Trinks, maestro del coro Fabrizio Cassi, luci di Pasquale Mari.
«Don Giovanni – aggiunge Martone – raffigura il maschile con istinto predatorio che Mozart e Da Ponte non temperano con l’aspetto razionale». Nell’era del Me too, delle violenze e dei femminicidi molto è cambiato. «Oggi siamo chiamati all’impegno della testa che deve tenere sotto controllo l’istinto», commenta il regista. Ed ecco che si rivaluta la figura di don Ottavio, che nell’opera appariva poco smagliante. «Invece di battersi in duello o di vendicarsi, considera una possibilità di maggiore moderazione. Si entra, come scriveva Cesare Garboli, nel mistero dell’umano, e io – chiude Martone – vorrei mettere il mito a diretto contatto con gli spettatori».