

Dalla parte degli squali. Per tendere loro una mano e salvarli da un declino delle popolazioni altrimenti inesorabile, complici la perdita progressiva degli habitat, il cambiamento climatico e la pesca eccessiva. Quanto basta per configurare un potenziale scenario di estinzione per alcune delle specie più antiche a popolare il nostro pianeta: squali e razze sono presenti nei nostri mari da più di 400 milioni di anni.
Arriva ora un nuovo progetto, Prosharks, per “soccorrere” gli elasmobranchi: una specie su due sarebbe sull’orlo del baratro, di qui l’esigenza dei ricercatori di rimboccarsi le maniche. ll progetto ha una forte matrice partenopea: a coordinarlo la Stazione Zoologica Anton Dohrn, partecipano l’Università Politecnica delle Marche e l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del Cnr, il finanziamento è del Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) nell’ambito del programma PRIN 2022, dedicato proprio alla conservazione degli squali nel Mediterraneo, un tempo hotspot di biodiversità.
E del resto anche nel golfo di Napoli gli squali sono una presenza tutt’altro che occasionale: qui vivono più di 50 specie. Dal piccolo gattuccio, molto presente in particolare nel banco di Santa Croce, tra Castellammare di Stabia e Vico Equense, al grande squalo elefante, la lista include squali di profondità, come il pesce porco o il capopiatto, ma anche razze e trigoni – che vivono sui fondali sabbiosi – e “vagabondi” d’alto mare come il mako e la verdesca, più eccezionalmente lo squalo bianco (nel 1920 ne fu recuperato un esemplare enorme a Procida, come documentano i giornali dell’epoca).
Più nel dettaglio, però, il progetto studierà gli squali palombo, con un focus particolare nel Canale di Sicilia, una delle aree in cui queste specie mantengono popolazioni vitali.
“Attraverso l’integrazione di dati satellitari, analisi isotopiche, genetica delle popolazioni e delle conoscenze ecologiche locali dei pescatori, stabiliremo una base di conoscenze solida per valutare lo stato delle popolazioni di palombi e proporre misure di gestione efficaci”, spiega i ricercatori. Nel dettaglio verranno identificate aree chiave per la conservazione, come zone di riproduzione e di accrescimento e definite la connettività genetica delle popolazioni per proporre misure tecniche di gestione. Non ultimo, sarà valutato l’impatto dei cambiamenti climatici sulla distribuzione futura delle specie, cruciali per l’equilibrio stesso degli ecosistemi.