Arrivano in Cassazione quattro milioni di firme a sostegno dei quesiti referendari sociali della Cgil. A questo si aggiunge l’avvio della raccolta firme per il quesito abrogativo della legge Calderoli (86/2024) ad opera di Cgil, Uil, di forze politiche e del mondo di associazioni e movimenti riunito nella Via Maestra. Si scatena a destra una insopprimibile reazione allergica.
Avevamo già letto sulla stampa di regime contumelie sulla “accozzaglia”. Il quotidiano Libero passa ora alla “ammucchiata”. Nel mondo della destra il popolo sovrano, dopo il mitico giorno da leoni in cui elegge il capo, deve istantaneamente trasformarsi in un gregge di pecore. Nel premierato in stile Meloni per la legislatura non provi nemmeno ad alzare la testa.
Ma quando una “ammucchiata” diventa – contro la volontà del capo – una potente armata? Quando ha obiettivi e metodi condivisi. Ed è appunto quel che ora accade. Con i referendum sociali il sindacato difende il lavoro come essenziale momento di libertà e dignità della persona. Ma lo strumento principale a tal fine è il contratto nazionale, che riceverebbe un colpo mortale in un paese frammentato dall’autonomia differenziata. È qui l’incontro tra le due iniziative referendarie. La discesa in campo contro la legge Calderoli si affianca – rafforzandola – alla strategia referendaria dei quesiti sociali.
Ricordiamolo, martedì 23 alle 18 in piazza Municipio, quando si apre formalmente a Napoli la campagna raccolta firme. Nessuno pensi che firmare è inutile, perché tanto c’è la richiesta di cinque consigli regionali. La raccolta firme si traduce in mobilitazione, partecipazione democratica, orientamento dell’opinione pubblica. Elementi decisivi per il quorum strutturale della maggioranza degli aventi diritto al voto che sarà il vero ostacolo nelle urne. Su questo la richiesta di un consiglio regionale conterà poco o nulla.
Ancor più considerando l’errore – ribadisco la mia opinione – di presentare un secondo e limitato quesito parzialmente abrogativo, che finisce per legittimare l’impianto complessivo della legge Calderoli. Viene pubblicizzato come paracadute per il rischio di inammissibilità del quesito totalmente abrogativo sul quale si raccolgono ora le firme. Ma finisce col dare un assist a Calderoli. Invece, il vero paracadute per il caso che la Corte dichiari inammissibile il quesito integralmente abrogativo è il ricorso in via principale alla Consulta da parte di una o più Regioni.
Una impugnativa che proprio la presentazione del quesito parzialmente abrogativo rende ancor più necessaria. Con il ricorso si fuga il sospetto che il quesito parziale voglia surrettiziamente – per la convenienza del ceto politico regionale – aprire la porta allo spacchettamento del Paese. Il ricorso potrebbe – e dovrebbe – cogliere in chiave di illegittimità costituzionale i punti pretermessi nella formulazione del quesito parziale. Dalle ultime notizie pare che Campania, Puglia e forse Toscana stiano valutando il ricorso. L’Emilia-Romagna è al momento Mia (missing in action).
La legge 86/2024 disciplina il negoziato tra gli esecutivi per la formazione dell’intesa tra lo Stato e ciascuna Regione, compresa la stipula e la firma da parte del presidente del Consiglio e di quello della Regione. Disciplina altresì anche la gestione dell’intesa stipulata e firmata, prevedendo per ciascuna intesa una commissione paritetica Stato-Regione. Non sembra dubbio che in queste fasi possa maturare un danno ad altre Regioni, quindi legittimate ad agire per la tutela delle proprie attribuzioni costituzionalmente riconosciute. Punti emblematici potrebbero essere ad esempio la norma transitoria di privilegio per le Regioni già in pista dal 2018 con i preaccordi, la previsione delle commissioni paritetiche, dei pareri nelle sedi di concertazione che possono essere disattesi o anche omessi per la decorrenza di termini ristretti, il richiamo alla mera “determinazione” di Lep non finanziati e ancor meno concretamente erogati, la possibilità del trasferimento di materie o ambiti di materie senza alcun riferimento a specificità proprie del territorio della Regione richiedente.
Prima o poi alla Corte costituzionale comunque si arriverà, con ricorso in via principale, o conflitto di attribuzione, o ancora giudizio in via incidentale. Meglio per tutti chiamare fin d’ora la Consulta ad esprimersi su una innovazione che peserebbe non poco sulla vita di ogni donna o uomo nel paese. Per questo speriamo che i ricorsi delle Regioni non spariscano nella nebbia. Che sarebbe, nel caso, quella della Val Padana.