Un libro lodevole, che riesce a trasformare una tesi nel suo contrario o quasi. Dei due autori, uno ha fatto il giornalista e l’altro il magistrato e il docente.
Il primo a raccontare di un imperatore tiranno e il secondo a svelarne virtù e clemenza, sia pure con inevitabili zone d’ombra. La prima parte del racconto è la truce narrazione di una Roma imperiale, ben lontana dalla precedente repubblica: e qui si registra l’esordio dell’imperatore Nerone. Poi si prosegue con la madre Agrippina, con le mogli (ne ebbe tre o quattro) e amanti e altri nobili, dove si susseguono senza soste omicidi, condanne al suicidio, congiure e complotti, incesti e violenze fino al famigerato matricidio. Il tutto si svolge tra l’incendio di Roma e le congiure di Baia.
Di tutt’altro tenore l’esordio della “difesa” di Nerone. Soprattutto nei primi cinque anni di regno egli tenne ben dritta la barra del buon governo. Fu un eccellente custode della cosa pubblica, rendendo efficiente la burocrazia e varando un’ottima amministrazione. Quando si accinse ad effettuare una riforma fiscale a vantaggio dei poveri furono proprio i ricchi senatori a sbarrargli la strada, bocciando il provvedimento. Ma Nerone reagì aumentando la velocità dei processi contro gli evasori, rendendo pubbliche le esazioni e provvedendo a una svalutazione monetaria. Qualche anno dopo riuscì a impostare la costituzione dell’impero modellandola sull’identikit ellenistico. Ma proprio in quel periodo Agrippina sfoderò il suo peggior ventaglio di atrocità, condannando a morte o uccidendo liberti, consoli, prefetti e finanche il figlio del predecessore di Nerone, al cui trono, secondo lei, essi potevano attentare. E tra tanti crimini arrivò persino a sfruttare il malcontento dei senatori nei riguardi del figlio e a offrirsi a lui in un amplesso incestuoso. Nerone ne uscì peggiorato nel carattere e nei comportamenti (fu quasi costretto a disfarsi della moglie Ottavia e della stessa madre), anche se non gli mancarono gesti di clemenza.
Avversando la guerra si aggiudicò successi diplomatici e di pacificazione con altri popoli, non incendiò Roma (come sostenne una parte della storiografia antica e a lui avversa) e invece si prodigò nella sua ricostruzione. Purtroppo non riuscì ad impedire l’ultima onda d’urto che lo costrinse a suicidarsi il 9 giugno del 68 dopo Cristo. A stabilire la sua damnatio memoriae furono due storici, Tacito e Svetonio, per i quali anche gli atti di indulgenza passarono per misfatti (ma i due se la presero anche con l’imperatore Tiberio a Capri). Per fortuna gli studiosi successivi rivalutarono il suo governo, l’uomo ed anche l’artista.
Grimaldi e C.
Ermanno Corsi ed Elio Palombi
Nerone, Colpevole o innocente?
pagine 88
euro 20