
Li definisce “i crocifissi di oggi”: femminicidi, disoccupazione, devastazioni ambientali. Domenico Battaglia, il cardinale di Napoli, cala il Vangelo nella realtà quotidiana: “Gesù annuncia la vita nei crocefissi di oggi”. Nell’omelia della Domenica della Palme, don Battaglia denuncia la violenza sulle donne, la mancanza di lavoro per i giovani, l’inquinamento ambientale, che nella Terra dei fuochi e non solo, provoca morte.
“Nelle piaghe di Gesù – dice l’arcivescovo di Napoli – le piaghe di chi non ha lavoro; di chi è tormentato dall’angoscia per il futuro; di chi ha conosciuto il dolore della morte a causa dell’incuria dei nostri territori, per il veleno disseminato nei nostri terreni e nella nostra aria; delle donne vittime di violenza; degli esclusi; di chi soffre a causa della giustizia; dei giovani che non riescono a mettere insieme i pezzi della loro vita”.
Si apre la Settimana Santa verso la domenica di Pasqua e il messaggio si sintonizza anche con i teatri di guerra nel mondo. “Restiamo in questi giorni ai piedi della croce – continua il cardinale – per restare umani, per imparare ad amare, per osare la pace”. Mettere fine ai conflitti e alle ingiustizie significa guarda l’immagine di Cristo sulla croce. Che “è morto – ricorda don Battaglia – come muoiono gli esclusi, i dimenticati, è morto come un malfattore. La sua predilezione per le vite smarrite, perse, sbagliate, lascia trasparire un Dio imprevedibile, troppo disponibile ad incontrare chiunque oltre ogni ragionevole regola”.
È la strada seguita dall’arcivescovo di Napoli che domenica scorsa ha dedicato la via Crucis ai detenuti, portando la croce con 25 “fratelli ristretti”, dalla chiesa di San Carlo Borromeo al Centro direzionale fin dentro l’androne del carcere di Poggioreale. Al fianco di quei detenuti che – ha detto Battaglia – sono spesso “vittima di un sistema ancora troppo disumano e deficitario, ancora troppo lontano dai principi non solo evangelici ma anche costituzionali”. E alla vigilia della Pasqua, ecco l’augurio del cardinale: “Tutti siamo chiamati a collaborare insieme per dare un volto più umano alla nostra società. È questo il vero annuncio del Risorto! È questa la forza della fede! È questo l’amore che crede e spera! L’augurio che mi sento di fare a tutti è di poterci sentire fortemente interpellati dall’umanità di Gesù””.
Ecco il testo integrale dell’omelia nella Domenica della Palme
La domenica delle Palme apre la Settimana Santa e noi celebriamo la misericordia del Padre che in Gesù continua ad aprire vie di conversione, di ritorno a lui, di prossimità ai fratelli. Alzare le palme in segno di festa è benedire oggi gli spiragli di speranza presenti, le possibilità concrete di bene, di vita condivisa, di fede a servizio dell’umano. Gesù entra a Gerusalemme accompagnato dai discepoli, dallo sguardo sospettoso dei capi religiosi che, con la connivenza del potere politico, otterranno la sua morte, di giusto, di debole, di innocente. Gerusalemme, città degli uomini, città santa, città dominata dal potere politico e religioso. Gesù apre proprio qui una via percorribile, nelle contraddizioni, nei deserti dell’umanità ferita dal peccato di molti. La sua vita e la sua morte sono fermento di giustizia, di futuro, di pace: il giusto dona un senso nuovo alla storia, è il seme che caduto nella terra produce molto frutto. La presenza del giusto, di tanti giusti nella storia, ci ricorda che la via della gratuità, dell’amore per la verità e la giustizia, è l’unica per diventare uomini e donne veri. Gesù ha amato con parole, sguardi, gesti umani, aiutando la consapevolezza di tutti, discepoli e persecutori, vicini e lontani, volendone la vera libertà. È morto come muoiono gli esclusi, i dimenticati… è morto come un malfattore. Lui che non ha tenuto nulla per sé. Nemmeno il suo essere Dio. Un centurione, pagano, glorificando Dio, riconoscerà in Gesù che muore il volto di chi ha amato il suo popolo dando tutto se stesso, condividendo tutto fuorché il peccato. Gesù muore fuori dalla città, espulso dalla paura di chi teme di perdere sicurezza, ordine, privilegi. Il suo modo di rapportarsi agli uomini – franco, libero, diretto, non condizionato da carriere o ruoli – inquieta. La sua predilezione per le vite smarrite, perse, sbagliate, lascia trasparire un Dio imprevedibile, troppo disponibile ad incontrare chiunque oltre ogni ragionevole regola. Si fa messaggero di una misericordia ostinata, pronta sempre a rilanciare la speranza, destabilizzante per chi ha la responsabilità di gestire, imbrigliare e controllare. Estromesso dalla convivenza civile, maledetto dalla Legge, appeso al legno dalle convenienze dei potenti, resta per sempre memoria insopprimibile della violenza dei poteri e della crudeltà di cui sono capaci anche la nostra straordinaria superficialità e il nostro comune conformismo. Con la sua morte ci svela la sconvolgente identificazione di Dio con tutti i poveri, tutti gli esclusi e i perseguitati di tutti i tempi e ci insegna una sapienza altra, quella della Croce che ci libera dall’insipienza della sola ragione e dall’inganno dei nostri calcoli. Ma non c’è un moto di rabbia, di ribellione o di condanna nel suo morire, solo l’assunzione senza misura del dolore dell’uomo con un amore invincibile: la forza della risurrezione. E la offre a noi, ancora una volta, per sempre! Egli annuncia la vita nei crocifissi di oggi. È lui quel samaritano capace di prendersi cura di chi, lungo la via, è incappato nelle mani di delinquenti senza scrupoli; è lui che viene incontro quando il cuore è lacerato da logiche che producono disperazione e morte. Nelle sue piaghe, le piaghe di chi non ha lavoro; di chi è tormentato dall’angoscia per il futuro; di chi ha conosciuto il dolore della morte a causa dell’incuria dei nostri territori, per il veleno disseminato nei nostri terreni e nella nostra aria; delle donne vittime di violenza; degli esclusi; di chi soffre a causa della giustizia; dei giovani che non riescono a mettere insieme i pezzi della loro vita. Se non riconosciamo i loro volti è perché non ne condividiamo i passi, le fatiche, la speranza. È questo Gesù che risorge e chiama oggi ogni uomo e ogni donna alla pienezza, a gioire di una vita affidata, condivisa, possibile qui, su questa nostra terra. Non è solo affare di religiosi, preti, santi. È stato possibile per i primi discepoli, uomini fragili, peccatori, che hanno fatto esperienza del tradimento e del rinnegamento, perché non dovrebbe essere possibile per noi? Il Signore chiama a essere suoi discepoli nel mondo. Non chiede scelte eroiche ma di seguirlo nella vita concreta, in ogni ambito in cui operiamo. La nostra coscienza personale è quel luogo sacro in cui poter ascoltare la sua voce, avere cura della sua Parola nella vita quotidiana. Tutti siamo chiamati a collaborare insieme per dare un volto più umano alla nostra società. È questo il vero annuncio del Risorto! È questa la forza della fede! È questo l’amore che crede e spera! L’augurio che mi sento di fare a tutti è di poterci sentire fortemente interpellati dall’umanità di Gesù, di sentire l’urgenza di cambiare noi stessi, il nostro sguardo sull’altro, la nostra mentalità, il nostro stile di vita, per riscoprire l’autenticamente umano come vero luogo credibile dell’annuncio del Risorto, per riscoprire in noi il desiderio di Dio: che tutti abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Restiamo in questi giorni ai piedi della croce, per restare umani, per imparare ad amare, per osare la pace. Lasciandoci convertire dallo sguardo di un Dio che muore per amore. Solo così questo tempo potrà rivestirsi di una luce nuova.