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Marone & Marone: “Caro Lorenzo, ti spiego il mio amore per la fotografia”

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Da ragazzino m’incantavo a guardare papà che sezionava e catalogava le fotografie. Stava seduto ore, con un tagliacarte enorme che a me pareva una ghigliottina, e la colla spray. Fiorivano album su album da quei pomeriggi. In casa aveva una camera oscura, perché è stato fotografo prima che collezionista, o entrambe le cose insieme.

A me affascinava più la fase della catalogazione, della conservazione, proprio quello che oggi viene sempre più a mancare. Sono per certi versi animista, tendo a dare un’anima agli oggetti di cui mi contorno, e sono per questo un fervente collezionista, come mio padre. Col quale ci siamo fermati una sera sul mio divano a chiacchierare su cosa è la fotografia oggi, e in particolare sulla sua idea di dar vita, insieme all’editore Nomos, a una collana molto speciale dalla sua collezione, che ha intitolato “Quaderni di fotografia”.

Ed è proprio la prima domanda che gli ho posto, come è nata l’idea di questa collana.

«Nasce dopo aver riordinato la collezione Riccardo e Rita Marone, che ci ha portato a pubblicare anche un libro. Ci siamo resi conto, con Angela Madesani, che avevamo materiale importante per poter fare dei quaderni di fotografia monotematici. Il primo dedicato alle fotografie di Ando Gilardi scattate nel corso di una ricerca di Ernesto Di Martino sui Maciari, i contadini guaritori della Lucania, c’è poi la serie di foto di Elio Sorci sull’alluvione di Firenze. Gli ultimi due a mio avviso sono molto interessanti, perché qualificano la fotografia diversamente rispetto all’attuale fotografia digitale: un quaderno è dedicato ai premi fotografici, che venivano incollati sul retro con appositi bolli, anche esteticamente molto affascinanti, e il quarto, dedicato, invece, ai timbri sul retro delle fotografie. Ogni fotografia è anche ciò che c’è dietro, noi abbiamo voluto mostrare quello che nessuno vede mai».

Che significa per te fotografare?

«È una passione che ho avuto in gioventù e che si è un po’ spenta con la fine dell’analogico. Con uno scatto si interpretava e testimoniava la realtà. Per la mia generazione fotografare era soprattutto un gesto politico, andavamo per le campagne del Mezzogiorno a riprendere i contadini e lo stato del povero mondo rurale. È stato un momento di grossa formazione politica».

Possiamo dire che oggi la fotografia si è tramutata da atto politico a semplice atto estetico?

«Oggi è più casuale, un tempo i giornali avevano grande attenzione per la fotografia, oggi non è più così, oggi sono tutti fotografi e, come sempre avviene in questi casi, la qualità media migliora, la qualità alta peggiora».

Tu che hai vissuto la camera oscura, lo stupore di veder fiorire l’immagine, pensi che si possa ancora dire che la fotografia è “scrivere con la luce”?

«Oggi il momento dello scatto ha perso molto significato, era un istante fondamentale perché dopo, in camera oscura, si poteva cambiare poco. Oggi è più importante la seconda fase, l’elaborazione al computer».

E allora cosa è oggi la fotografia artistica, cosa è rimasto da imprimere?

«La collana si pone l’obiettivo anche di far veder come grandi fotografi del passato, i reporter, hanno fatto fotografia artistica forse senza saperlo, solo per la loro bravura, e la voglia di raccontare. Questi reperti col tempo sono diventati arte. Oggi non c’è più il reportage, il fatto di cronaca, è più difficile scattare una fotografia iconica, e penso alle foto di Robert Capa, se parliamo di guerra, o ai grandi reportage di Cartier Bresson. Oggi siamo talmente sommersi di immagini, che la fotografia iconica scomparirà».

Questo abuso porterà secondo te l’uomo ad abituarsi alla bellezza di una foto? Non saremo più capaci di scorgerla?

«Il paradosso è che mentre un tempo cercavamo di immortalare luoghi, oggetti o gesti significativi, la gente oggi cerca la foto ricordo, si imprime nei luoghi, come testimonianza d’esserci stati, come ricordo, appunto».

Perché la decisione di inserire nei quaderni prefazioni anche di scrittori oltre che di esperti?

«Mi sembrava interessante una riflessione più letteraria, le sensazioni di uno sguardo comune rispetto all’immagine. Ognuno interpreta, sente la fotografia in modo diverso; ecco quel sentire è secondo me molto affascinante, e lo scrittore ha la capacità di tramutare questo sentire in parole».

Uno dei regali che hai fatto a tuo nipote è stata la macchina fotografica. Credi che si possano trasmettere le passioni? Credi sopratutto che si possa spiegare cosa e chi si è stati in vita attraverso le passioni avute, gli oggetti che conserviamo?

«Assolutamente sì. La cultura è questo, trasmettere di generazione in generazione esperienze e vissuto. Spero che un domani la mia collezione possa essere amata da voi figli, e dai miei nipoti».

Usciranno altri quaderni prossimamente…

«Ad aprile, due quaderni, uno sulla serie dei femminielli di Luciano Ferrara, e l’altro di Federico Patellani su una femminista ante litteram, Leda Rafanelli. A giugno poi anche il quaderno, sempre con Nomos Edizioni, della mostra che si terrà a Senigallia, ottanta fotografie sul mare, dalla mia collezione».

Un’ultima domanda: la foto che avresti voluto scattare tu.

«Una foto che in un solo istante avesse avuto la forza di mostrare le diseguaglianze del mondo».

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2024/03/03/news/marone__marone_caro_lorenzo_ti_spiego_il_mio_amore_per_la_fotografia-422244307/?rss

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