Fermi alla frontiera, carichi di speranza e disperazione, dopo aver affrontato per settimane il mare aperto. Migliaia di uomini, donne, bambini in coda, stretti l’uno all’altro angosciati, aspettando l’ispezione sanitaria, il controllo dei documenti, l’udienza legale che deciderà se possono finalmente mettere piede nella nuova terra, dove iniziare una vita lontana dalla miseria. Sono gli italiani a Ellis Island. Non bisogna mai dimenticare, tanto meno oggi – le analogie sono innumerevoli – la migrazione di massa dei milioni di connazionali partiti per realizzare il sogno americano, iniziata centocinquant’anni fa.
Ben 27 milioni di italiani tra il 1876 e il 1988 hanno lasciato la terra, la casa, gli affetti, mentre sono stati in 13 milioni a rientrare per nostalgia o per rinuncia, dopo anni di tentativi. Dati che insieme a un’imponente ricerca fatta in archivi, studio di diari, lettere, giornali, film, canzoni, gli storici Mario Avagliano e Marco Palmieri hanno pazientemente incrociato per “Italiani d’America”, un volume da ritenere tra i più importanti testi sulla storia della migrazione, fenomeno che ha inciso sull’evoluzione politica, sociale, economica, culturale sia degli Stati Uniti che del nostro Paese.
L’ondata migratoria italiana fu massiccia, un vero e proprio esodo, innescato dalla crisi economica postunitaria. L’Italia era una nazione povera, arretrata, con il 78 per cento degli abitanti analfabeta e il 70 per cento impiegato nell’agricoltura. Fu quello il primo periodo in cui gli italiani iniziarono a guardare a “La Merica”, una speranza, un sogno, la possibilità di una nuova vita. Dal 1876 fino al 1915, con l’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, ci fu la prima ondata migratoria con 600mila partenze all’anno, arrivando a un totale di 14 milioni, che andarono oltreoceano, tra Sudamerica e Stati Uniti.
La seconda fase, dopo un relativo periodo di rallentamento, annovera anche la partenza di oppositori al fascismo e degli ebrei per le leggi razziali. Poi la terza e altrettanto imponente ondata, dopo il 1945. E dietro i numeri e le percentuali, le vite delle persone, assiepate al porto di Napoli, o di Genova, in attesa di salire sul “vapore” con un biglietto di terza classe, “stipati come acciughe in sconci transatlantici che li vomitano all’estero”, denunciava l’esule socialista Giacinto Menotti Serrati, rivelando le condizioni dei connazionali rapiti dal sogno della terra dell’oro, che gridavano “Neviorche! Neviorche!”, sbarcavano a Ellis Island per un “giobba”, un job, un lavoro, o il grande affare, un “bisinis”. E invece iniziavano a scontrarsi con la realtà. Discriminazione, lavori degradanti, vivendo in catapecchie e in condizioni di estremo disagio.
Poi, poco alla volta, nasceranno le Little Italy, quartieri e comunità per rinsaldare valori, tradizioni. Tanti pezzi di Italia, dal Veneto a Napoli, fino alla Sicilia, si innestano nel tessuto americano, diventano parte del motore economico: contribuiscono alla crescita degli Stati Uniti, fino a raggiungere ruoli apicali in ogni settore, dalla politica alla cultura. La terza parte del volume di Avagliano e Palmieri, dopo aver restituito la fatica degli “sballottati dalla tempesta” – come il verso della poetessa Lazarus scritto sul piedistallo della Statua della Libertà – racconta del successo degli italoamericani, emigranti che hanno scolpito l’immaginario culturale mondiale, come Rodolfo Valentino o Frank Capra, partito dalla Sicilia come Francesco Rosario Capra, che dal ghetto passò a Hollywood, diventando il regista delle illusioni e delle grandezze dell’American Way of Life con “La vita è meravigliosa”.
Poi, via via, le successive generazioni, con Martin Scorsese, Frank Sinatra, Brian De Palma, Al Pacino, Robert De Niro, una lista interminabile di figli, che grazie alla fatica dei loro genitori hanno creato l’immaginario culturale americano, realizzando la profezia dello scrittore Camillo Cianfarra, autore de “Il diario di un emigrante”: “Oggi – si legge nel suo volume – ci chiamano dago, oggi ci rimproverano la nostra poca pulizia, il frequente uso del coltello […], ma domani cominceremo a far sentire il nostro peso: le centinaia di dollari messi da parte frugando nei bauli, o fabbricando sedie da lustrascarpe, o vendendo frutta col carretto, serviranno un giorno ad educare i figli, a lanciarli in questo mondo americano”.