I “gemelli diversi” del premierato e dell’autonomia differenziata sono vicini all’approvazione parlamentare. Il seguito, però, sarà tutto da scrivere. Concepiti per soddisfare le velleità di alcuni partiti della maggioranza di centrodestra, si potrebbero entrambi rivelare più strumenti di lotta politica che di modifica dell’architrave costituzionale, come sarebbe nei desiderata del governo. Gemelli diversi, appunto. Dunque, il premierato.
Le modifiche fin qui apportate al disegno di legge di riforma costituzionale sul cd. premierato elettivo non sembrano aver risolto i problemi di incoerenza interna del provvedimento. Ovvero, la sua naturale inidoneità ad affrontare e superare i principali motivi che sono stati alla base dell’iniziativa del governo, ovvero la lotta al trasformismo parlamentare e la valorizzazione della sovranità popolare. Come nelle precedenti versioni, infatti, il testo continua a prevedere il rapporto fiduciario tra Camere e Governo e lo scioglimento delle prime ove esse non conferiscano la fiducia iniziale al secondo, al termine dei due tentativi che la norma concede al premier eletto direttamente.
Fin qui, il percorso appare fisiologicamente orientato a recepire gli indirizzi generali. Tuttavia, lo stesso scioglimento delle Camere non è analogamente previsto in caso di dimissioni del presidente del Consiglio “previa informativa parlamentare”. In questo caso, lo scioglimento del Parlamento è rimesso alla discrezionalità del presidente del Consiglio. Egli può, infatti, proporlo. Se non lo propone, e lo stesso si verifica in caso di sua morte, impedimento permanente, decadenza, il presidente della Repubblica può conferire, per una sola volta nella legislatura, l’incarico di formare il Governo al presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare eletto in collegamento con il presidente del Consiglio. Ora, il quesito è questo: perché un presidente del Consiglio dimissionario deve avere la possibilità di decidere di violare il sacro principio su cui la riforma si fonda, ovvero quello della primazia della sovranità popolare? Perché, se i cittadini hanno scelto, hanno voluto “quel” presidente del Consiglio, una volta che questi si dimetta, non si deve tornare alle urne per eleggerne uno nuovo? Questa stessa opzione non si comprende neppure in caso di morte, impedimento permanente o di decadenza.
Anche in questi casi, basterebbe nominare un soggetto facente funzioni del presidente del Consiglio per il tempo necessario all’espletamento di nuove elezioni, frattanto indette. Quello che è inaccettabile, in siffatta architettura, è il riconoscere al premier il potere discrezionale di decidere il futuro della legislatura. In questo caso, sarà più che certo l’assistere a giochi di potere, ricatti e scambi tra singoli e partiti per assicurare, ad esempio, la sopravvivenza di un Governo che sia già palesemente in crisi, magari attraverso la scelta di un nuovo leader che possa ricevere l’appoggio anche di partiti fino a quel momento all’opposizione. Evidente l’intento, farlocco, dell’escamotage. Recuperare una presunta centralità del Parlamento, prima cacciato dalla porta, per farlo rientrare dalla finestra.
Con un rimedio che è peggiore del male. Perché alimenta di fatto il trasformismo parlamentare e la violazione della sovranità popolare che, a parole, si volevano combattere. In tale quadro, è pure evidente l’asimmetria che viene a crearsi tra posizione delle Camere e del premier. Se le Camere sfiduciano il premier, esse si sciolgono. Se il presidente del Consiglio si dimette, può comunque garantire la sopravvivenza del Governo.
Una tale sproporzione tra le prerogative del premier e quelle del Parlamento, entrambi eletti dal popolo, è simbolicamente rappresentativo dello svilimento delle funzioni e dei poteri del legislativo. Questo rafforzamento unilaterale si verifica, pari pari, anche nella riforma dell’autonomia differenziata. Che finisce con il concedere più poteri ad alcuni governatori, i quali li potranno liberamente negoziare, senza alcun contrappeso istituzionale, direttamente con il Governo centrale: con il premier o con il ministro per gli Affari regionali. E, allora, una volta estromessi il Parlamento e i consigli regionali, la contrattazione di materie, funzioni e risorse sarà concentrata nelle mani di pochi esecutivi e le sorti di tali negoziazioni dipenderanno dal maggiore o minore grado di vicinanza politica tra il Governo e i singoli governatori. In questo quadro, molto difficilmente il premier si preoccuperà di limitare alcune richieste a favore di una sostanziale unità giuridica e di una parità di trattamento, così come molto difficilmente si mostrerà ricettivo verso le Regioni a lui avverse. Le legislature diventeranno lunghe campagne elettorali, sordidi parapiglia a strappare l’ultimo centesimo, una colluttazione permanente tra satrapi.