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I magistrati difendono la Costituzione

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Le manifestazioni di protesta dei magistrati, che hanno caratterizzato l’apertura dell’anno giudiziario, e le aspre critiche sollevate al riguardo da esponenti delle diverse forze politiche di maggioranza e da alcuni commentatori, meritano alcune necessarie precisazioni, affinché l’opinione pubblica sia in grado di cogliere l’esatta portata delle questioni sul tappeto.

Va chiarito, in primo luogo, che, ad avanzare serrate critiche contro la riforma costituzionale portata avanti dall’attuale governo in un clima di costante delegittimazione dell’operato dei magistrati, non è stata, come ci si è affannati a dichiarare, una frangia politicizzata e minoritaria della magistratura, ma la quasi totalità dei procuratori generali e dei presidenti di Corte, a partire dai vertici della Corte di Cassazione.

La diffusione delle proteste su tutto il territorio nazionale evidenzia un disagio condiviso all’interno di un potere dello Stato, tale essendo la magistratura secondo la definizione contenuta nell’articolo 104 della Costituzione, che si caratterizza proprio per essere un potere per sua natura diffuso, senza vertice, la cui indipendenza, affermata dal costituente soprattutto nei confronti del potere esecutivo, è, al tempo stesso, condizione e conseguenza dell’indipendenza dei suoi singoli componenti, sancita dal principio della soggezione dei giudici soltanto alla legge, scolpito nell’articolo 101 della Costituzione.

Spetta ai singoli magistrati, che secondo il dettato costituzionale si differenziano tra loro soltanto in ragione delle diverse funzioni esercitate, assicurare, per mezzo dell’esercizio imparziale della giurisdizione, vale a dire dell’attività di applicazione del diritto attraverso l’interpretazione delle norme poste dal legislatore, la tutela dei valori costituzionali, del diritto internazionale cui l’ordinamento giuridico nazionale deve conformarsi e del diritto europeo, come più volte ribadito dalla Corte costituzionale.

Se questa è la natura del potere giudiziario, ridurre le proteste dei suoi componenti a “sgarbo istituzionale” o elevarle al rango di “manifestazioni sediziose”, dimostra, quanto meno, una non meditata riflessione sul significato delle parole utilizzate.

Con le loro critiche, infatti, i magistrati non hanno inteso perseguire alcuna eversione dell’ordine costituzionale, fondato sul principio della separazione e della pluralità dei poteri.

Piuttosto, essi hanno dato prova di patriottismo costituzionale, in un’ottica di leale collaborazione tra poteri dello Stato, che imponeva e impone loro di non rimanere silenti, ma, in quanto custodi della Costituzione, di avvisare gli altri poteri dello Stato e il popolo, depositario ultimo della sovranità, dei rischi sull’assetto costituzionale della magistratura e sulle libertà dei singoli, di una riforma di cui si fa fatica a comprendere la necessità, come sottolineato da più voci.

E che appare fondata, nella sua radice politica, in un giudizio espresso da Silvio Berlusconi nel novembre del 2001, una volta tornato al governo, secondo cui negli ultimi dieci anni si era svolta in Italia una vera e propria “guerra civile”, in cui una parte della magistratura aveva utilizzato illegittimamente la giustizia a fini di lotta politica, spazzando via un’intera classe politica di origine democratica e occidentale.

Giudizio, come notano Marcello Flores e Mimmo Franzinelli nel recente saggio “Conflitto tra poteri”, condiviso dalle forze politiche dell’allora maggioranza, che comprendeva anche Lega e Alleanza nazionale, le quali, rinnegando il consenso prestato durante la stagione di Tangentopoli a un giustizialismo senza sconti, furono pronte a perseguire un disegno di netta separazione di funzioni tra magistratura requirente e quella giudicante, che ebbe un primo esito nella riforma Castelli.

Oggi quello spirito torna a ruggire, con ancora maggiore forza, come è lecito dedurre dal fatto che alcuna motivazione è stata fornita sulle eventuali ricadute in termini di maggiore efficienza del sistema giustizia e di rafforzamento dei diritti dei cittadini della proposta riforma.

Si abbandona in tal modo programmaticamente un assetto costituzionale mai messo in discussione quando la magistratura requirente e la magistratura giudicante, grazie all’impegno di magistrati passati dall’una altra funzione senza scandalo, contrastavano con successo il terrorismo e la criminalità organizzata.

Assetto che certo non ha ostacolato la notevole produttività della magistratura italiana evidenziata dalla prima presidente nella sua relazione e che oggi, invece, per il potere esecutivo è divenuto un’anomalia da risolvere, addirittura con un’impellente riforma costituzionale, proprio quando da tempo la magistratura ha dimostrato di interpretare il controllo di legalità che le compete abbandonando ogni sudditanza nei confronti del potere politico, ancora ravvisabile in alcuni noti episodi risalenti agli anni ’70.

Peraltro tale modifica si inserisce in un contesto politico, nazionale e internazionale, in cui l’indipendenza dei magistrati nell’esercizio della giurisdizione viene vista come un vero e proprio intralcio all’attività del governo, quando si traduce in decisioni che non corrispondono agli obiettivi dell’indirizzo politico della maggioranza.

Il rischio evidente è quello di confondere la legittima vittoria elettorale con un mandato in bianco a stravolgere il delicato equilibrio dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto, per allinearsi alle esperienze maturate in questi ultimi anni in democrazie illiberali come la Polonia e l’Ungheria, stigmatizzate dall’Unione Europea.

Se si tiene presente tutto questo, non è possibile non ritenere fondato l’allarme lanciato dalla magistratura italiana sul timore che la riforma Nordio sia il primo passo di un percorso il cui esito inevitabile sarà la sottoposizione, palese od occulta, del pubblico ministero al potere esecutivo.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/01/29/news/i_magistrati_difendono_la_costituzione-423968584/?rss

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