Per 30 anni ha verniciato gli scafi e gli interni prima che le navi ricevessero il battesimo del mare nello stabilimento Fincantieri di Castellammare di Stabia. Poi, una volta in pensione, la scoperta di un tumore alla vescica.
Dopo la sua morte, a 76 anni, è stata la famiglia di C.D. a decidere di ingaggiare una battaglia legale con i vertici dell’azienda di Trieste, leader nel settore della cantieristica. Convinta che la patologia che ha causato la morte del lavoratore, marito e padre di due figli, fosse collegata alla sua attività di verniciatore in fabbrica dagli anni 60 fino ai 90.
E a dare ragione ai parenti è arrivata una sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Torre Annunziata che ha riconosciuto alla famiglia un maxi risarcimento di 650 mila euro. Per la prima volta il provvedimento non ha riguardato l’amianto. E sancisce, piuttosto, che altre sostanze killer erano presenti nei cantieri navali di Castellammare.
Finora i pronunciamenti del Tribunale avevano riguardato, invece, principalmente le conseguenze mortali dell’esposizione ad amianto con risarcimenti danni per le due classiche patologie oncologiche asbesto-correlate, ossia il mesotelioma e il tumore del polmone.
“Negli ultimi anni la letteratura scientifica ha ampliato il ventaglio delle malattie professionali e nell’area stabiese sono sempre più gli operai deceduti per patologia oncologica, in particolare per cancro del colon-retto, della laringe, della vescica e del sangue” spiega l’avvocato Gianmarco Meglio, che ha seguito la famiglia sin dall’inizio per il riconoscimento dei loro diritti rispetto alla morte dell’ex operaio.
“Dall’esame della storia lavorativa del singolo operaio possono trarsi gli elementi utili per verificare l’effettiva natura della patologia e ricorrere al giudice per rivendicare i sussistenti diritti risarcitori. Presso il tribunale di Torre Annunziata sono già in corso cause per tali patologie e tra non molto potrebbero esserci ulteriori novità di forte rilievo”, spiega il legale. E adesso una sentenza ha riconosciuto che sono stati i 30 anni in fabbrica a togliere all’ex operaio la possibilità di invecchiare e di vedere crescere i suoi nipoti.