Il MiC lo considera un “evento” e nel suo calendario lo fa durare fino al 31 dicembre. Ma speriamo continui: dipende se ci saranno fondi per i dipendenti Ales che ne assicureranno in questi mesi l’accesso. La chiesa dei Girolamini torna all’apertura quotidiana dopo anni: ancora nel 2020 riappaiono brutte fotografie di degrado con impalcature e cellophane svolazzanti che nascondevano la chiesa e la piazza ingombra di spazzatura con l’erba alta come un campo di calcio.
Sarebbe invece oggi contento Umberto Bile, che fu fino alla immatura scomparsa, conservatore con tanti meriti del complesso che è uno dei più vasti del centro antico, del lavoro svolto con grandi capacità dalla direttrice, Antonella Cucciniello. Che ieri ha accolto i visitatori con un libro dei “pensieri”– dove i complimenti sono arrivati in alto fino al soffitto – i 1.223, tra turisti e napoletani alla riscoperta della loro città, quella più “mortificata” (ricordiamo che di fronte sorge, dopo una inaugurazione altisonante del 2018, la coeva chiesa e conservatorio di Santa Maria della Colonna, da tempo ri-chiusa, dopo esserlo stata per 40 anni).
Un record questo dato di ieri, se si pensa che nel 2016 i visitatori furono 16 mila: basteranno solo 2 settimane alla chiesa dei Girolamini per eguagliare quel numero. «Qui cercheremo la normalità, restando aperti tutti i giorni», dice la direttrice Cucciniello mentre accelera l’entrata di una scolaresca. «Vengono da Milano – spiega un’insegnante, napoletana – ditelo che cosa pensate di questa città!», li incoraggia. In due si fanno avanti timidi, ma è un professore a parlare per loro, sono emozionati: «Vogliono venire a viverci, dopo aver visto tutti questi tesori».
Alla spicciolata arrivano i turisti in visita in via Tribunali, diretti ai Decumani, al Caravaggio del Pio Monte. La chiesa non si riempie, per fortuna, ha un buon ricambio, e appare ariosa, godibile. Ricca, straricca, come solo i padri Oratoriani sapevano rendere le loro chiese (quella napoletana è stata la seconda dopo Roma, anch’essa detta di San Filippo Neri, il fondatore dell’ordine). La sede napoletana risale al 1586, si chiamò dei Girolamini perché a Roma vivevano in San Girolamo alla Carità; la nuova chiesa, opera del toscano Dosio e dei Lazzari padre e figlio, è del 1592. A Napoli non si badò a spese: furono acquistati i beni delle famiglie Seripando e Filomarino per realizzare la maestosa casa oratoriana sorta in epoca di tarda Controriforma, (si intravede sul lato destro la porta che, quando il restauro, interrotto più volte con varie vicissitudini, sarà completo, unirà la parte accessibile e l’altra, che si apre su via Duomo) comprendente: Congrega dell’Assunta, dei Dottori, di San Giuseppe, le Cappelle del Noviziato e del Sacramento, l’Archivio Oratoriano e quello musicale, la celebre Quadreria, la Biblioteca e i chiostri.
Le due navate laterali con le colonne in granito grigioazzurro dell’Isola del Giglio, rette da archi che per illusione ottica sembrano incrociarsi con le cupoline, dando vita a un effetto che ricorda il moto delle sfere celesti, una “macchina” resa evanescente dalla madreperla e le testine di putti bianche che spuntano dalla tessitura, spiando dall’alto. Dorature, marmi commessi la fecero definire Domus Aurea. E ora è assediata dai fotografi. Luciano Ferrara la rivede dopo anni: «Ne ricordavo il pavimento, una meraviglia», e lascia un pensiero grato sul libro all’ingresso. È aperta tutti i giorni la chiesa dalle 9 alle 17,30, il sabato e la domenica dalle 8,30 alle 13,30. La biglietteria è super-veloce perché i Girolamini sono stati, grazie anche alla Direzione generale musei, il primo sito museale ad aderire al sistema “Musei Italiani”: il biglietto digitale gratuito può essere generato attraverso app o portale web www.museiitaliani.it. Due turisti francesi si fermano davanti ai due angeli reggicandelabro in marmo di Sanmartino che Umberto Bile riportò in chiesa da Capodimonte, dove furono esposti nella mostra “Civiltà del Settecento”. La chiesa era dedicata a Santa Maria della Natività e a Tutti i Santi, ed effettivamente i santi ci sono, se non tutti, quasi.
E grazie a una strepitosa illuminazione che rende la visione uguale a tutte le ore del giorno, integrando la luce naturale, i loro ritratti – anche il San Gennaro che ammansisce il leone di Luca Giordano e sempre di Giordano il grande affresco della controfacciata con la Cacciata dei mercanti dal tempio (1684) sono di chiara e agevole lettura. Andando avanti si può vedere l’Arca Santa secondo Mazzanti, l’affresco di una lunga teoria di santi di Beinaschi, e poi le scene bibliche di Solimena. Le tele, dopo gli attenti restauri, sono tornate nelle collocazioni originarie, dopo essere state a lungo custodite nel convento. Pietro da Cortona, il Pomarancio, Fracanzano; sull’altare la Sacra Famiglia di Santafede che non potè completarla. E poi continua il “manuale” di storia dell’arte a Napoli tra Sei e Settecento, con Giacomo Del Po, l’unica opera a Napoli di Gessi allievo di Reni, Andrea Vaccaro. «Una chiesa che è opera di grande complessità e respiro», commenta lo storico dell’arte Riccardo Naldi, nel comitato scientifico del complesso monumentale. Estasiato, come tutti, addetti e non.