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Climate change, la strategia degli alberi

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Le previsioni demografiche a scala globale, intrecciate con i modelli sull’evoluzione del clima nelle nostre città per i prossimi decenni, tendono sempre più a prospettare un futuro decisamente preoccupante. Lo documenta ampiamente l’Urban climate change research network (Uccrn), il consorzio di oltre 1200 studiosi dell’evoluzione del clima nei centri urbani. Stefano Mancuso, che dirige il Laboratorio internazionale di Neurobiologia vegetale dell’università di Firenze (Linv), ne ha fornito una sintesi molto significativa nel libro Fitopolis, la città vivente, edito da Laterza.

Emerge che per avere un’idea sintetica delle trasformazioni indotte dal cambiamento climatico va considerato che attualmente sono 350 le città nel mondo che vivono condizioni di caldo estremo (almeno 3 mesi con temperature massime che in media non scendono al di sotto dei 35° C) e che queste città nel 2050 diventeranno ben 970. Di conseguenza i 200 milioni di persone che attualmente vivono in condizioni di caldo estremo nelle città, diventeranno 1,6 miliardi entro il 2050. E il 14% della popolazione urbana vedrà che la cosiddetta linea degli alberi – cioè il livello oltre il quale le caratteristiche ambientali non permettono la crescita degli alberi, spesso a causa delle temperature troppo basse – si sta innalzando dalla Norvegia, alla Sicilia, al Pakistan, alla Corea. Studi recenti documentano che dal 2000 al 2010 il 70 per cento di questa linea si è spostato verso l’alto in media di 1,2 metri all’anno.

In alcune zone del globo le piante si stanno spostando verso il nord: sperimenteremo temperature medie annuali superiori a 29° C, cioè con valori che nell’Artico vedranno una velocità della migrazione delle piante superare i 50 metri all’anno. Per molte specie vegetali poi c’è il rischio che se il riscaldamento modificasse l’ambiente a una velocità superiore alle possibilità di spostamento delle nostre foreste, le conseguenze sarebbero molto gravi. Così le nazioni più previdenti si stanno organizzando a spostare le specie vegetali in aree nuove, sperando di riuscire a colonizzarle. Ma è preoccupante che mentre si stanno verificando trasformazioni apocalittiche, queste siano del tutto sottovalutate. In generale si tende a ignorare che l’intervallo di temperatura nel quale è possibile sopravvivere (per millenni l’uomo ha potuto godere di una temperatura media annuale compresa tra gli 11 e i 15 °C ), si sta radicalmente modificando. Studi recenti documentano che nei prossimi 50 anni, se si continuerà a non realizzare programmi adeguati di contenimento del riscaldamento globale, i valori termici superiori a 29 °C, che attualmente riguardano solo lo 0.8% della superficie terrestre (principalmente nel Sahara), andranno a interessare circa un terzo della popolazione mondiale. In più va tenuto presente che all’incremento del riscaldamento globale le piante rispondono con conseguenze che rischiano di diventare drammatiche se i sistemi di migrazione assistita delle piante – avviati da poche nazioni previdenti spostandole in aree nuove con l’obiettivo di colonizzarle – non risultassero sufficienti.

Inoltre in molte aree (Pakistan, India, Arabia Sannita, Messico e Australia) il riscaldamento è arrivato vicino a un limite che ne mette a rischio l’abitabilità. E poiché le regioni a maggior rischio sono quelle più povere, è ragionevole attendersi lo spostamento di grandi masse migratorie verso settentrione. Si presenteranno così gravi problemi che non potranno essere risolti facendo migrare le città, ma sarà necessario trarre dalla natura le risposte adeguate. E cioè quelle fornite dagli esseri viventi che hanno dimostrato di essere capaci di resistere ai cambiamenti ambientali senza spostarsi, e cioè gli alberi, che praticamente ignorano il fenomeno. E gli alberi offrono infatti il modello cui le città dovrebbero ispirarsi per combattere il cambiamento climatico. Al contrario le risposte, che la quasi totalità delle città sta fornendo ai cambiamenti climatici, praticamente ignorano il fenomeno. Sono poche le città che stanno cercando di affrontare il problema alla radice, attuando interventi capaci di produrre un effettivo raffreddamento. Prevalgono di gran lunga gli interventi di facciata, nei fatti di scarsissima efficacia. Fa eccezione il programma messo in atto a Seul, che, per ridurre le sue isole di calore e l’inquinamento da polveri sottili, ha piantato ben 16 milioni di alberi. Una lezione che sarebbe molto importante se a Napoli ispirasse l’amministrazione della Città metropolitana a tradurre in un piano per un’ampia piantagione di alberi nel suo territorio a partire dal capoluogo.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/01/30/news/climate_change_la_strategia_degli_alberi-423970844/?rss

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