Lasciare Napoli alla volta di Roma, per fare cinema. E poi tornare a Napoli perché cinema e fiction si possono fare benissimo anche qui. Anzi, è proprio il momento giusto per farli.
«È il colmo per un’emigrante», scherza Chiara Grassi, quarantenne, sposata con due figli, direttrice generale di Picomedia e responsabile della produzione della fortunata serie “Mare fuori” ma anche di cinque versioni tv di testi di Eduardo.
Non solo fiction, ma spazio anche per il cinema: Picomedia ha co-prodotto “Nostalgia” di Martone e ha in uscita “Caracas”, dal romanzo di Ermanno Rea “Napoli Ferrovia”, diretto da Marco D’Amore e interpretato da Toni Servillo. Tutti progetti realizzati a Napoli e tutti con Chiara Grassi nel ruolo di produttrice esecutiva.
Cos’è esattamente, Grassi, una produttrice esecutiva?
«Questo ruolo può avere più declinazioni. Nel mio caso, seguo i progetti dalla nascita fino alla realizzazione e alla distribuzione: finanziamenti, rapporti con i distributori e gli agenti degli attori. È il produttore Roberto Sessa, la mia stella polare, a decidere quale progetto verrà realizzato. Ma subito dopo si mette in moto una catena operativa: scritturare i registi e gli attori, chiudere gli accordi con i distributori o con le piattaforme. Insomma mettere insieme i pezzi di tutto, poi programmare le riprese, fino alla chiusura definitiva del progetto e alla sua uscita».
Un lavoro dietro le quinte, ma decisivo. È così?
«In realtà sì, tant’è vero che sul set ci vado poco. È una particolare forma di creatività, che però dà molte soddisfazioni: seguire come prende forma una storia, come dal progetto iniziale si giunge al rapporto con il pubblico».
Il cinema e la fiction stanno attraversando a Napoli una fase molto felice…
«Le radici di questo fenomeno risalgono agli anni ‘90: penso a Martone, Capuano, anche al “Blues Metropolitano” di Piscicelli che è del 1985, la partenza di seri progetti produttivi sulla serialità: basti pensare a “Un posto al sole”, ancora oggi un successo dopo tanti anni, e a “La squadra”».
E oggi siamo al clamoroso successo di “Mare fuori”, che la vede coinvolta in prima persona.
«È stato un processo lento, graduale. Partita su Raidue, la risposta del pubblico è stata abbastanza in linea con i numeri della rete. Poi però con le piattaforme, prima Raiplay, poi Netflix, è scoppiato il caso. A dimostrazione del fatto che il pubblico giovanile, che è stato poi quello che ha decretato il successo della serie, si muove secondo logiche che privilegiano le piattaforme rispetto alla normale programmazione tv e che quindi possono coesistere pubblici diversi con canali di fruizione diversi che non si escludono a vicenda, anzi si sommano».
Dalla serie sarà tratto un film?
«C’era il progetto, ma per il momento è in stand by. Intanto la serie è stata venduta all’estero, stiamo valutando proposte per dei remake, siamo finiti in prima pagina sul NewYork Times. Per il momento c’è la versione teatrale in forma di musical, con la regìa di Siani, all’Augusteo. Ci sono anche alcuni dei nostri attori, tra cui Maria Esposito, tra le più amate».
Lei come se lo spiega il successo di “Mare fuori”?
«Ci abbiamo creduto fin dall’inizio. Poi Napoli ha fatto il resto».
In che senso?
«La città ha una serie di elementi fortemente cinematografici: gli scenari naturali, lo sfondo sociale, la lingua, le facce: tutto ha una forza straordinaria. C’è la colpa e c’è la redenzione. Anche il fatto che protagonisti siano degli adolescenti, che le figure degli adulti rimangono un po’ sullo sfondo. Credo che il target del pubblico adolescente sia fortemente trascurato dalla produzione audiovisiva italiana, noi lo abbiamo intercettato. Inoltre le professionalità e le maestranze napoletane sono eccellenze. Tutta la troupe di “Mare fuori” è straordinaria. Anche in termini di successo, come spesso accade, il fenomeno è esploso prima a Napoli, cassa di risonanza».
Il film di Nanni Loy “Scugnizzi” del 1989, ambientato nel carcere minorile di Nisida, è stato un riferimento?
«Sì, magari anche inconsciamente. Quel film fa parte dell’immaginario di più generazioni”».
La serie si è attirata anche qualche critica…
«Sì, spesso viene accomunata a una rappresentazione negativa della città. Ma chi lo sostiene forse non l’ha neanche vista: in realtà sono storie piene d’amore di speranza».
Torniamo a lei. I giovani sognano di fare i registi o gli attori. Insolito puntare sulla produzione.
«Ma io non ho mai avuto quelle ambizioni, non mi sono mai sentita un’artista. Sono sempre stata affascinata però da tutto ciò che è organizzazione. Più volte da ragazza a Napoli mi è capitato di lavorare in questo senso, per esempio a Galassia Gutenberg. Ma non è che a vent’anni si sa sempre esattamente cosa si vuol fare. Finito il liceo mi iscrissi alla facoltà di Psicologia, a Roma. Ma non ero del tutto convinta. Poi conobbi un direttore della fotografia, che mi disse: ma visto che hai questo pallino dell’organizzazione, perché non ti iscrivi al corso di produzione del Centro sperimentale? Non conoscevo per niente il mondo del cinema, ma m’iscrissi, mi sono diplomata e da lì si sono aperte un po’ alle volta tutte le porte».
Non è raro che un produttore passi poi alla regìa…
«Non credo sarà il mio caso. Sono fedele al mio ruolo, che è decisivo anche se non esposto alla luce dei riflettori. Quello del produttore è un ruolo chiave, ti permette di realizzare un prodotto, di scegliere, di investire su una cosa piuttosto che su un’altra e poi raccogliere comunque i frutti del successo, quando c’è».
Preferisce cinema o fiction?
«Ma oggi non c’è più questa distinzione così netta. Si fanno prodotti per un pubblico traversale. Molti importanti registi di cinema lavorano, anche magari episodicamente, per le piattaforme. Certo, poi ci sono prodotti più o meno adatti : la serialità non è da grande schermo se non per uscite-evento».
Lei stessa ha prodotto film destinati alle sale, che solo in un secondo momento sono passati alla tv o alle piattaforme…
«Abbiamo fatto il bel film di Uberto Pasolini “Nowhere Special”: è uscito poco dopo la pandemia, poi si è affermato su Sky. Anche “La scuola cattolica” di Stefano Mordini tdal romanzo di Albinati, dopo l’uscita in sala è andato su Netflix in tutto il mondo. Con Uberto Pasolini abbiamo da poco finito le riprese de “Il ritorno”, ispirato alla parte finale dell’Odissea, con Ralph Fiennes nel ruolo di Ulisse e Juliette Binoche in quello di Penelope. Poi torneremo ancora a Napoli. Da quando Sorrentino ha fatto “E’ stata la mano di Dio”, ogni volta che torno a Napoli per lavoro penso a Capuano che dice ’e strunz’ vanno a Roma, e allora provo a non disunirmi troppo…».