martedì, 22 Ottobre, 2024
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Autonomia, gli italiani non sono più un solo popolo

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Il faticoso cammino dell’Unione Europea dovrebbe insegnarci qualcosa. L’unione dei popoli non può avere come unico collante la moneta. Ci vuole molto altro. Di ciò consapevoli, dopo il 19 giugno, noi italiani dovremmo chiederci se siamo ancora un solo popolo. È un interrogativo tanto più legittimo e necessario perché, diversamente dall’Ue, neppure possiamo contare sulla moneta, che non è più nostra, per sentirci uniti.

Eppure, nel lungo dibattito sull’Autonomia regionale differenziata, si è parlato quasi esclusivamente di interessi economici. I Lep (livelli essenziali delle prestazioni) sono quasi diventati l’elemento dirimente, perché senza la loro predefinizione non si potrebbe realizzare l’autonomia.

Tutti sappiamo, però, che il nodo non sta nel “prima” o nel “dopo”, ma nel criterio sulla cui base definirli: in sintesi, se si debba dare maggiore rilievo alla possidenza, in ossequio a un’ideologia “egoistica”, o ai “bisogni”, per chi coltiva utopie solidaristiche. E stiamo pur certi che quando il problema verrà in discussione, ci sarà una scia di costose recriminazioni che saranno al solito modo riversate sui giudici (in questo caso sulla Consulta).

Peraltro, parlando di soldi, si è accuratamente evitato di parlare dei costi. Qualche pensierino, tuttavia, dovremmo pure farlo in quanto non a caso il nostro debito pubblico ha cominciato ad aumentare in misura che è fuori controllo più o meno dal tempo in cui hanno cominciato a funzionare le Regioni. Se per noi, soprattutto per comodità della politica, ciò è irrilevante, non lo è per l’Europa che ci ha in ammoniti, dicendo proprio ieri: “Ma non vi basta ciò che oggi spendete per le Regioni?”. Ovviamente sul presupposto che i costi superino i benefici (e tra i costi, per mio conto, sta quello di avere dilatato a dismisura la burocrazia, che è la vera palla di piombo che imprigiona il Paese).

Mettiamo da parte i soldi che immiseriscono la questione. Parliamo dell’unità del Paese, quale fu faticosamente realizzata quasi due secoli fa. Quale è il futuro che si prospetta quando la riforma entrerà a regime? Le Regioni potranno disciplinare autonomamente i loro commerci con l’estero; potranno intrattenere rapporti diretti con l’Ue (e già immagino le splendide e costose “simil-ambasciate” che ciascuna Regione si affretterà ad approntare, con il corredo di personale lautamente retribuito; ma già oggi esistono anticipazioni); potranno darsi un proprio sistema scolastico, così che le Regioni più ricche possano pagare di più gli insegnanti sempre che siano rispettosi dei programmi regionali e delle specificità della storia delle singole Regioni; potranno darsi (per ora) un proprio sistema di giustizia “minore”; potranno disciplinare autonomamente le cosiddette professioni liberali (avvocati, medici, ingegneri, giornalisti eccetera) e, in questo modo, governare e indirizzare la cultura; potranno avere propri sistemi di protezione civile e prendersi cura dell’ambiente e del proprio patrimonio storico e artistico (ricordandosi di appartenere all’Italia quando il problema è troppo grande, come è stato per il Covid).

E tutto ciò potranno fare usando la forma che è il contrassegno della sovranità; ossia adoperando la potestà di legiferare. Ci vuol poco per prevedere che si realizzerà la disgregazione di un’unità faticosamente raggiunta e che si porranno le basi per sostituire all’identità di un popolo la pluralità di etnie di cui si accentueranno le diversità. E la stessa unicità della lingua, che i mezzi radiotelevisivi hanno contribuito a realizzare e rafforzare, rischierà di essere sostituita dai “media” locali che privilegeranno i dialetti. In altre parole si è messa in atto un’evoluzione la cui traiettoria prevedibile sarà quella di una confederazione di piccoli staterelli di giobertiana memoria (ma Gioberti confidava nella capacità agglutinante della Chiesa).

Sembra, pertanto, evidente che con la cosiddetta autonomia “differenziata” la Costituzione sia stata tradita (e ciò già dal 2001). Se la Repubblica è “una e indivisibile” (art. 5) e se “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione” (art. 139), mi sono sempre chiesto da non addetto ai lavori se tutto ciò sia compatibile con l’attribuzione alle Regioni di potestà legislativa esclusiva o concorrente.

Infatti, se attributo di una Repubblica è l’esercizio di poteri “sovrani”, non mi riesce di capire come la stessa ne possa trasferire ad altri una porzione senza che ciò non implichi la creazione di un soggetto dotato di una corrispondente sovranità, così rompendo l’unità della Repubblica.

È una domanda che mi pongo da semplice (cittadino) italiano. A maggior ragione dovrebbe porsela chi guida una formazione politica che ha nell’emblema il tricolore, che esalta la Nazione e che preferisce chiamarsi patriota più che cittadino. Per chi professa queste idee la “Repubblica una e indivisibile” dovrebbe essere un valore irrinunciabile, perché è a base del suo “ubi consistam”.

Se per lui (o lei) l’unità dello Stato è stata oggetto di baratto, ossia merce di scambio per ottenere il lasciapassare per un esercizio del potere di tipo orbaniano, io, elettore di quella formazione politica, mi sentirei tradito. E nel momento in cui mi capitasse di ascoltare la sua vessillifera, adusa ad un inconsueto presenzialismo sui “media”, mi chiederei se parla la statista (o chi presume di essere tale) oppure una pallida imitazione della Ferragni.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2024/06/23/news/autonomia_gli_italiani_non_sono_piu_un_solo_popolo-423273945/?rss

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