«Sparami, fammi vedere», dice Arcangelo e mostra il petto in segno di sfida. Dall’arma impugnata da Renato parte un colpo. Il giovane cade a terra, nel sangue. Solo in quel momento, gli amici che erano con loro nella piazzetta, in pieno centro storico di Napoli, gridano: «Cosa hai fatto». Così muore un ragazzo nel cuore della città dove si gioca pericolosamente con le armi. È questa l’ultima ricostruzione sulla tragica fine del 18enne Arcangelo Correra, ucciso dal colpo di pistola esploso dall’amico Renato Benedetto Caiafa, di un anno più grande, la notte fra venerdì e sabato scorsi.
L’indagato è in carcere solo per i reati di porto d’arma e ricettazione. Adesso però il pm Ciro Capasso, che coordina le indagini della squadra mobile diretta da Giovanni Leuci, lo ha iscritto nel registro anche con l’ipotesi di omicidio volontario “con dolo eventuale”. Se si adopera una pistola vera, funzionante e perfettamente carica, è la tesi al vaglio degli inquirenti, va messa nel conto la possibilità che quell’arma uccida. E poi ci sono molti punti della sua versione che non tornano, come sottolinea la giudice Maria Gabriella Iagulli nella sua ordinanza.
La magistrata ritiene possibile che Correra abbia pagato con la vita un «triste gioco finito male» e cita il passaggio delle dichiarazioni di Caiafa che ripercorre la scena della sfida lanciata dalla vittima. Al tempo stesso però, a giudizio del gip, la tesi dell’arma trovata casualmente in strada, sulla ruota di una macchina parcheggiata, non sta in piedi. Anzi, è «del tutto inverosimile». Nessuno, si legge nell’ordinanza, «avrebbe lasciato un’arma carica, considerato il suo valore, per strada alla libera apprensione da parte di terzi», tenuto anche conto che «la criminalità tende ad acquisire il possesso di questo tipo di armi che possono essere usate mille e mille volte ancora proprio perché, in quanto clandestine, sono difficilmente ricollegabili ai delitti commessi e ai loro autori». E stiamo parlando di una Beretta con matricola abrasa e un caricatore modificato per contenere 26 cartucce con 18 colpi all’interno. Inoltre, per la gip non è credibile che i ragazzi abbiano pensato che fosse finta. Ce l’avevano loro, dunque. Peraltro, lo scooter utilizzato da Caiafa e da un amico per accompagnare la vittima in ospedale «è risultato essere stato usato anche da soggetti pregiudicati legati ad ambienti camorristici». Tutti aspetti che andranno approfonditi.
Fanno riflettere testimonianze degli amici che erano con Caiafa e Correra al momento della tragedia. Nel provvedimento vengono definite «inverosimili e chiaramente reticenti» anche le loro dichiarazioni. «Nessuno ha parlato di ritrovamento casuale, tutti però ci hanno tenuto a escludere di aver visto armi e, in maniera altrettanto inverosimile, hanno dichiarato di essere stati girati dall’altra parte al momento dell’esplosione del colpo fatale». Erano di spalle, hanno sostenuto, mentre Arcangelo e Renato giocavano con la pistola. Un silenzio che fa rumore, forse anche più di quel proiettile esploso nella notte.