Io li ricordo quei giorni lì d’estate, un’estate rovente quella dell’Ottantuno, com’erano allora le stagioni. Avevo sei anni, gli stessi di Alfredino Rampi, che oggi ne avrebbe cinquanta, come me, come noi. Avrei voluto nel tempo scriverlo un romanzo su di lui, qualcuno lo ha fatto, mi sono lasciato invece convincere dalla storiella che non era un racconto sul quale costruire una narrazione.
Ora c’è un documentario, una serie, come le chiamano, non l’ho vista e non giudico, non mi interessa entrare nel dibattito che va avanti da allora, il ruolo dei media, che invasero a forza la casa degli italiani per mostrare la morte in diretta. Il primo reality tragico del Novecento. Mi interessa invece ricordare che quella immensa disgrazia ha segnato una generazione, la mia, che sbirciava da dietro la porta perché gli adulti le dicevano di andare a giocare in cortile. Ma noi la percepivamo la loro disperazione, sentivamo come se quel buco maledetto potesse inghiottire tutti.
Il supplizio assurdo di Alfredino giunse a spiegarci che a volte neanche i grandi possono niente, neppure chi è dotato di superpoteri: come Isidoro Mirabella, soprannominato l’Uomo ragno, o l’Angelo, Angelo Licheri, morto di recente, che trascorse settanta minuti a testa in giù per cercare di imbragare il bimbo. Il nome di Alfredino per noi cinquantenni è un sussulto, non c’è coetaneo che non senta ancora dentro al petto un urlo di dolore al solo sentirlo pronunciare. Perché morì solo dentro un pozzo, chiamando in aiuto Jeeg Robot e sua mamma, perché la sua fine ci sottrasse all’infanzia, ci tolse il diritto di credere nell’immortalità, come è sacrosanto a sei anni, il convincimento indissolubile che ci saranno i genitori a proteggerti.
Non so se la serie spiega tutto questo, ho i miei dubbi. Della vicenda televisiva e del ruolo dei media in quei tre giorni non mi interessa, nemmeno delle critiche a un anziano signore con la pipa (il nostro Pertini) che trascorse una notte intera su un prato ho voglia di parlare, o delle tante congetture sui coniugi Rampi. Il tempo cancella tutto. Tutto, tranne lui, il povero Alfredino, al quale vogliamo bene come a un amichetto perduto troppo presto. Se esiste davvero un paradiso, lo immagino come un vasto spiano dove correre a perdifiato, senza il rischio di cadere in un buco.