Un lutto colpisce ancora il teatro, improvviso per la morte di Stefano Jotti. L’ho conosciuto una ventina di anni or sono, attore di punta di quella straordinaria iniziativa che fu “Museum”, magico puzzle teatrale costruito da Renato Carpentieri e Lello Serao di cui aveva sposato il progetto e la fatica.
Stefano era già un attore molto bravo, ma in quella occasione mi apparve, tra i tanti che vi partecipavano, straordinario per duttilità, fantasia, generosità. Aveva voce magnifica e sapeva occupare la scena costruendo rapidamente il suo personaggio con immediata empatia e straordinaria misura.
Molte volte rimanemmo a parlare di quel sogno condiviso con sacrificio grande di tutti e dell’importanza del sapere fare squadra nel teatro dei nostri giorni. Colto, impegnato, discreto, gran lavoratore, l’ho poi ammirato ed applaudito in tanti dei molti spettacoli e film di cui è stato presenza significativa, protagonista attento e sapiente.
L’elenco dei titoli che costruiscono la sua carriera è lungo, e lo si troverà negli elenchi della storia di questo nostro tempo comprendendo cosa significasse per lui scegliere e rischiare, amare una idea e costruire gruppi di lavoro, fermarsi con amici con cui condividere un copione e affidarsi al sapere di un regista. Io voglio ricordarlo al fianco di Renato Carpentieri, un sodalizio lungo nel tempo, che dal “Museum” giunse all’importante riscrittura per il teatro de “Le braci” di Sándor Márai, a “Piazza degli Eroi” di Thoma Bernhard per la regia di Roberto Andò, di “La panne” di Friedrich Dürenmatt messo in scena da Alessandro Maggi. Ma soprattutto per aver scelto di essere un “maestro” in punta di piedi, mai invadente, ancorandosi a lungo nella Galleria Toledo, e condividendo l’idea di Laura Angiulli di fare con lei laboratorio e costruzione costruendo progetti su drammaturgie shakesperiane che indagano il passato del teatro per farlo voce del presente da consegnare a nuovi, giovani talenti. Alla famiglia le condoglianze commosse del mondo del teatro.