Per diversi motivi in queste settimane si ripropone il tema della partecipazione al governo urbano della città. A Napoli ci sono vari cantieri aperti. Il “documento strategico per una città giusta, sostenibile e attrattiva” approvato all’unanimità dalla commissione Urbanistica e di prossima discussione in consiglio comunale, diverse procedure per il coinvolgimento di cittadini e comitati in programmi interni al Pnrr (Taverna del Ferro, Scampia, Bipiani di Ponticelli, Albergo dei Poveri, Ex-Opg e Scugnizzo liberato) come altri casi locali (interventi previsti per l’Ex-Ospedale Militare).
Sono pratiche avviate dall’amministrazione comunale che ha coinvolto alcuni esperti per realizzare processi partecipativi secondo metodi qualificati e gestiti professionalmente. Tenendo conto poi anche dell’avvio di alcune procedure per la realizzazione di servizi di welfare attraverso il percorso della coprogettazione si vede che l’amministrazione comunale, o alcuni suoi esponenti, mostrano una sensibilità verso la densificazione della democrazia.
Non si parte mai da zero. Dalle esperienze di vari programmi europei, ultimo solo in ordine di tempo Urbanact realizzato anche in città, alle variegate esperienze della rete del Nuovo Municipio o delle sperimentazioni dei bilanci partecipativi, su cui in verità non è stato fatto un bilancio consuntivo approfondito, sino alla più recente e vivace rete Labsus per i patti di collaborazione, moltissimi soggetti e tante istituzioni in Italia si occupano di partecipazione. Negli anni del sindaco De Magistris poi sono state realizzate e consolidate le esperienze di usi civici che, ereditate dalla nuova amministrazione, hanno fatto emergere a livello nazionale un certo approccio partenopeo al tema.Nelle tante storie realizzate in Italia e all’estero, ormai si è cumulato un patrimonio di conoscenze e competenze per cui è necessario non partire da un generico per quanto sentito sentimento di afflato verso la democrazia diretta. Ovviamente convivono approcci e sensibilità diverse.
Innanzitutto credo sia preferibile parlare (e quindi immaginare) diversi gradi di apertura dei processi decisionali. Questo per dire che il termine partecipazione, cui siamo affezionati, è obsoleto, carico di possibili fraintendimenti e insidie.La buona teoria (che è una cosa molto pratica) e le esperienze efficaci come pure la riflessione sugli errori, mostrano che per il buon governo, va immaginata e realizzata sempre una apertura contingente, contestualizzata, appropriata del processo decisionale.Questo anche per evitare fraintesi, indebita confusione di ruoli, costituzione di false aspettative, pratiche che di fatto possono risultare propagandistiche.Come è noto la questione è di grande rilevanza. Sono del tutto evidenti la crisi delle forme e degli strumenti della democrazia, l’astensionismo alle elezioni, il populismo e il crescente consenso verso gli autocrati nazionali e internazionali, il peculiare ruolo svolto dai social media, la crisi di tante forme intermedie del fare cittadinanza insieme alla costante crescita dell’attivismo molecolare di migliaia di cittadini impegnati in vicende di pubblico interesse, che rifiutano però aggregazioni di media e grande taglia.
Non a caso già diversi anni fa abbiamo utilizzato la metafora dell’arcipelago.Le istituzioni del governo urbano decentrato come quelle immaginate per la partecipazione nelle scuole o in tante altre istituzioni sono tutti strumenti considerati obsoleti dalla maggioranza se non obiettivamente inefficaci. In questi giorni in città si è riaperto anche il dialogo fra amministrazione comunale e protagonisti dei patti educativi (fra dirigenti scolastici e del terzo settore) per provare anche nella difficile sfida del successo formativo di sanare una piaga della democrazia, usare bene le risorse e fare meglio.
D’altra parte pendoliamo fra inevitabile necessità della delega e insopprimibile volontà e necessità di pluralizzare i processi decisionali e quelli attuativi.Quindi, considerando che la società è organizzata secondo ruoli e funzioni che – mentre verranno sostituiti da dispositivi più efficaci – è giusto far funzionare bene, occorre tenere presente alcuni modesti consigli sapienziali, non improvvisati: 1) per aprire i processi decisionali in modo corretto e possibilmente efficace occorre chiarire bene i ruoli e gli obiettivi, chiedere l’intervento di esperti indipendenti cui affidare un mandato chiaro per sostenere e accompagnare i processi; tener conto dei tempi, dar conto di quello che si può co-decidere e del rispetto degli impegni, sempre facendo molta chiarezza fra le procedure finalizzate ad una corretta informazione dei cittadini distinte da quelle per coinvolgerne una parte nei processi e, entro una certa misura, nelle decisioni; 2) tenere sempre presente che una scorretta apertura dei processi, una pratica partecipativa male impostata o realizzata in modo inidoneo è peggio del decisionismo ed ha quasi sempre effetti perversi; 3) curare sempre un approccio ecologico nella distinzione di ruoli e rilevanza fra cittadini attivi, piccole associazioni, imprese sociali, forze politiche e soggetti istituzionali; 4) superare ed evitare in ogni modo l’adozione (spesso ideologica o opportunistica) di modalità tipo consulte, tralasciando le “assemblee del popolo” che a Napoli pure si sono viste una dozzina di anni fa.