L’articolo di Pasquale Tina pubblicato su queste pagine il giorno di Pasqua (“Napoli, la guerra dello stadio”) mette ordinatamente in fila tutte le cose che sappiamo intorno alla questione del nuovo stadio. Rispetto alle notizie dei giorni precedenti la novità riguarda l’avvenuto incontro del presidente e proprietario del Calcio Napoli Aurelio De Laurentiis con Bernardo Mattarella, presidente di Invitalia, la società pubblica alla quale la legge “Sblocca Italia” del 2014 ha assegnato la proprietà dei suoli dell’area ex Ilva di Bagnoli.
Dall’incontro sarebbe scaturito un via libero preventivo di Invitalia alla proposta di De Laurentiis di realizzare proprio a Bagnoli il nuovo stadio da 60mila spettatori, come parte di un più ampio complesso sportivo e ricettivo, con l’indicazione di una possibile data di inaugurazione della struttura, nel luglio 2027.
Di segno opposto l’opinione del sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, che è anche commissario straordinario di governo per il risanamento di Bagnoli, secondo il quale l’opzione realistica consiste nell’adeguamento dello stadio Maradona, essendo la proposta del nuovo stadio a Bagnoli non praticabile, a causa della tempistica (il completamento della bonifica richiederà un periodo di tempo non inferiore ai 3-5 anni), e per il fatto che la proprietà dei suoli è di Invitalia, con la necessità quindi di un acquisto preventivo delle aree da parte di De Laurentiis.
Sul restyling del Maradona il sindaco ha ragione da vendere. Sta di fatto che Invitalia nella vicenda di Bagnoli non è un soggetto qualsiasi, assommando i ruoli di soggetto attuatore della bonifica, oltre che di proprietaria dei suoli. L’apertura a De Laurentiis, se confermata, starebbe a indicare che i vertici di Invitalia ritengono le obiezioni del sindaco Manfredi in qualche modo superabili.
Ciò che colpisce in tutta questa vicenda è il completo prevalere delle questioni procedurali su quelle di merito. La disciplina urbanistica, che la Costituzione e le leggi italiane assegnano ancora agli enti di governo territoriale, in primis i Comuni, e non ai proprietari delle aree (sia chiaro, Invitalia, per quanto società di intera proprietà pubblica, è un soggetto di diritto privato come gli altri), nonché il quadro complessivo dei vincoli, non consentono assolutamente la localizzazione a Bagnoli di un’attrezzatura del rango del nuovo stadio, e ha ragione allora Giuseppe Guida, nel suo intervento su queste pagine dell’11 marzo scorso, a derubricare la questione nell’ambito della patafisica.
Anche volendo prescindere da tutto questo, c’è una questione di buon senso grande quanto un casa, che dovrebbe sconsigliare la localizzazione di un nuovo stadio da 60.000 posti nel bel mezzo della zona rossa dei Campi Flegrei, istituita dalla pianificazione nazionale di emergenza per il rischio vulcanico nel giugno 2016, che comprende l’intera piana di Bagnoli, assieme al promontorio di Posillipo.
Un’area nella quale, stando al sito del Dipartimento nazionale di Protezione Civile “… l’evacuazione preventiva è, in caso di allarme, l’unica misura di salvaguardia per la popolazione. In caso di eruzione, sarebbe infatti esposta al pericolo di invasione di flussi piroclastici che, per le loro elevate temperature e velocità, rappresentano il fenomeno più pericoloso per le persone”.
Il dibattito scientifico e istituzionale sull’evoluzione recente del rischio vulcanico e bradisismico, le preoccupazioni per l’incompletezza delle nostre conoscenze e capacità previsionali, la presa d’atto dell’insufficienza delle vie di fuga (a proposito, come si evacuano 60.000 persone dal cul de sac di Bagnoli?), hanno occupato fino a ieri pagine intere dei quotidiani. Come sia possibile rimuovere completamente la questione dal dibattito in corso sul nuovo stadio rimane uno dei misteri della mente umana.
Le vicende storiche che stiamo vivendo dovrebbero indurci invece a immaginare una strada nuova, sobria intelligente per Bagnoli e la zona occidentale, che metta insieme le ragioni dell’economia, del paesaggio, dei bisogni delle persone, con l’obiettivo di costruire una città più sicura e resiliente. Il nuovo piano urbanistico dovrebbe farsi carico di tutto questo, sempre ricordando che Napoli è un segmento di un sistema vulcanico ed ambientale più ampio, maledettamente problematico, ed è a quella scala che le soluzioni ragionevoli vanno ricercate.