L’intervento di Anna Savarese (“Opere pubbliche, scelte più partecipate”) a “supporto” dell’articolo di Donatella Mazzoleni (“Monte Echia, progetto sbagliato”) mi stimola a riprendere un argomento che non andrebbe mai trascurato ed è quello della democrazia partecipata. Per dire, parafrasando Giorgio Gaber, che democrazia è partecipazione. E per aggiungere che nella sempre auspicabile democrazia partecipata un aspetto particolarmente importante è un’urbanistica socialmente partecipata.
L’urbanistica non è una disciplina per soli esperti. Al contrario le trasformazioni della città e del territorio possono diventare importanti laboratori di confronto per i cittadini, per i professionisti che lavorano negli uffici di pianificazione, per i decisori politici.
A questo riguardo nel 1994 la Commissione europea, nell’ambito delle attività della DG XIII-D, si fece promotrice di un progetto che individuasse strumenti atti a ridurre le distanze tra coloro che si occupano di ricerca e sviluppo tecnologico e coloro che, a diverso livello, avrebbero dovuto beneficiare dei frutti del loro lavoro. Sulla base dei risultati sostanzialmente positivi delle prime esperienze, nel 1995 si decise di promuovere in tutta Europa questa nuova metodologia. La DG XIII-D della Commissione europea affidò alla Fondazione Idis – Istituto per la diffusione e la valorizzazione della cultura scientifica a Napoli di progettare e sperimentare un sistema di diffusione paneuropeo della metodologia dello Scenario Workshop che da questo momento prese l’attuale nome di European Awareness Scenario Workshop. Che è pratica abbastanza ricorrente nell’Europa centro-settentrionale.
Mentre lo è molto meno, quasi per niente, in Italia dove non esiste un “obbligo di legge”. Tuttavia, come sostiene Donatella Venti, presidente della Commissione nazionale dell’Inu, l’Istituto nazionale di urbanistica, ”l’approccio della popolazione è di tipo propositivo, di negoziazione e gestione del conflitto… è evidente che chi attiva un processo di partecipazione vera ne deve tener conto e ne deve rendere conto alle persone che hanno preso parte ai laboratori, workshop eccetera… Un gruppo di cittadini può fare una proposta conflittuale con altri interessi o in controtendenza rispetto alla linea seguita dall’amministrazione; quest’ultima può rifiutarla, ma l’importante è che tutto il processo sia trasparente e che si rimanga all’interno delle forme di partecipazione che si mettono in campo: forum, workshop allargati, laboratori di partecipazione che prevedono interlocuzione tra soggetto pubblico e privato”.
Ciò spiega perché, pur in mancanza di una legge che preveda e regolamenti un’urbanistica partecipata, sono molti gli esempi di “partecipazione volontaria”: a Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Potenza.
Non mi risulta che se ne registrino anche in Campania e soprattutto nella città metropolitana di Napoli e ancor più nel suo capoluogo.
È un vuoto che andrebbe colmato: nell’interesse degli amministratori e dei cittadini amministrati.
In questo senso sono particolarmente significativi gli esempi forniti dall’architetto belga Lucien Kroll, noto come il padre dell’architettura sostenibile, secondo il quale l’architettura non può essere tale se non è “partecipata”. E ligio a questo principio nel progettare un “ecoquartiere” parlava con gli abitanti, per capirne le necessità e realizzare modelli insediativi in cui fare vivere bene individui e comunità. Per cui, secondo Kroll, “la comunicazione attraverso l’architettura è atto eminentemente politico: l’architetto agisce come catalizzatore di un processo creativo e sociale dinamico, rispetto al quale mette a disposizione il suo sapere per tradurre le relazioni tra persone in uno spazio idoneo.” È per questo che occorre dar luogo al processo partecipativo; o, quanto meno, occorre che chi progetta si metta nella posizione dei futuri residenti.
Ho sempre ritenuto che la partecipazione dei cittadini, di una diffusa rappresentanza dei cittadini, in presenza di decisioni anche non solo di urbanistica, costituisca una forma non solo democratica, ma realisticamente utile di partecipazione. E nel caso campano e metropolitano ve ne sarebbero esempi da portare alla riflessione. Per esempio nel campo dei rifiuti.
Ma tornando al punto di partenza che è quello che mi ha indotto a riscriverne, molto semplicemente si deve rilevare che se partecipate fossero state le decisioni circa le modalità dell’ascensore di monte Echia, non solo si sarebbe fatto molto prima, non solo alcuni errori lamentati da Mazzoleni e Savarese non sarebbero stati compiuti. Ma anche non ci si sarebbe trovati di fronte alla credo giusta opposizione di quanti ritengono ingiusto ed esoso il pagamento di un biglietto per il trasporto da Santa Lucia a Monte Echia.