oesia e infanzia sono sorelle: entrambe pronunciano parole nascenti, che si protendono con passo incerto in direzione di una forma e di una vita a venire parimenti inimmaginabili. Passo incerto, eppure deciso: la promessa del domani è imperiosa. La poesia viene cresciuta da una lingua madre, il bambino da una madre in carne e ossa (i padri hanno poco a che fare con l’accudimento: poveri loro, cui tocca dettar legge, forgiare il super-io).
Chi scrive ha avuto la fortuna, a cena con amici, di conoscere una madre: si chiama Maria Rosaria Pollio, è avvocato, fa il giudice di pace. Una donna nella sua bella maturità, di misurata eleganza, che sa ascoltare e si esprime con meditate parole. Un’ombra di mestizia ne vela i lineamenti, e non c’è voluto molto a capire il perché: due anni fa Elvira, sua unica figlia adorata, è morta a 22 anni. Elvira Carpentieri era una promessa del teatro napoletano, frequentava con profitto l’accademia per giovani artisti del Bellini. Oltre a recitare, praticava la danza e il canto: una pluralità di discipline nelle quali esprimeva, con l’energia prorompente che anima i figli migliori di Napoli, la sua passione per le cose belle. La si può ammirare in non poche clip musicali prodotte in città negli ultimi anni. Oltre che calcare il palcoscenico, amava scrivere: chissà che scrittrice sarebbe diventata.
Dopo giorni, mi ritrovo con gli stessi amici a casa di Maria Rosaria. Salta fuori, nella commozione di tutti, un libro dalla copertina vivace: s’intitola Diciamolo… in poesia, contiene i componimenti che hanno vinto un concorso organizzato nell’anno scolastico 2008/2009 da due insegnanti del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II, Carmela Accardo e Maria Giuliana Bagnato. Le docenti, dopo aver coinvolto gli alunni delle quarte classi della scuola primaria in un percorso di apprendimento dei fondamenti del linguaggio poetico, li hanno invitati a creare “pagine di poesia nelle quali colori, versi ed emozioni si fondano in un quadro armonico”. Primo premio ad Elvira. Secondo a Giovanbattista Cutolo: il futuro musicista che sarebbe stato ammazzato il 31 agosto dello scorso anno da un balordo, a piazza Municipio. Maria Rosaria racconta che, al momento di alzare le coppe, i due amichetti (nati entrambi nel ’99, hanno allora nove anni) ancora discutono, scherzosamente ma non troppo, su chi abbia scritto la poesia più bella.
Ci si commuove nel ritrovare, fianco a fianco tra le pagine di quel libro colorato, le poesie di Elvira e di Giogiò bambini: amici d’infanzia che sarebbero stati portati via da un destino nefasto, a due anni di distanza l’una dall’altro. Poco più che ventenni, quando erano sul punto di portare a compimento i rispettivi, magnifici talenti. Queste poesie sono la promessa di un domani; e se le loro morti assurdamente precoci hanno un senso, non può essere che questo fermo guardare in avanti dei due ragazzi, verso un bene a venire.
Dopo altri giorni, incontro la mamma di Giovanbattista, Daniela Di Maggio, che mi riceve nella casa nuova in cui si è trasferita, insieme alla figlia Lulù, dopo la morte del figlio. “Casa Giogiò” si apre su una vasta, luminosa corte: è insieme un tempio della devozione materna e la residenza di una guerriera che vuole combattere il male che le ha ucciso il bene più prezioso. Dice Daniela: «Di cosa dovrei avere paura, di essere uccisa dalla camorra? Una mamma che ha perduto il figlio non può morire una seconda volta». Questa madre, dopo che milioni di persone l’hanno vista leggere sul palco di Sanremo la lettera a Giogiò, è una delle donne più amate d’Italia. Adesso, però, vive appartata: come Maria Rosaria Pollio, pare raccolta nella memoria di un accudimento. Parliamo dei due ragazzi, che dopo aver frequentato insieme le elementari e le medie non si erano perduti di vista.
Eccole dunque sulla pagina, le poesie di Elvira e Giogiò bambini. Una promessa di bellezza alla quale la città ha il dovere di mantenere fede.
Le poesie di Giogiò
Il vecchio del Mugello
Il vecchio del Mugello
beveva il limoncello,
un giorno si ubriacò
perché il limoncello si scolò.
Che ubriacone il vecchio del Mugello!
La nuvola
La nuvola è zucchero filato
volato nel cielo
mentre una bambina lo mangiava.
È bellissima,
ma quando piange
diventa scura e non mi piace più.
Quando la vedo, immagino
siano i capelli del cielo,
che quando sono bagnati
scendono come pioggia.
L’amicizia
L’amicizia è un legame forte
che fa aprire tante porte;
ma le porte dell’amore
te le deve aprire il cuore.
L’amicizia non è ingiusta
E non la trovi in una busta,
ma se la vuoi proprio trovare
tu la devi rispettare.
Le poesie di Elvira
Carnevale
A carnevale
ogni scherzo vale.
Arlecchino col suo costume colorato,
che non è altro che un abito stracciato.
Oggi, nell’aria, c’è la felicità!
Ma purtroppo, domani, torneremo alla realtà.
È una grande festa che trascina via,
come una forte, strana malattia.
Il mare
L’onda sbatte sulla riva
continuamente se ne va e arriva.
Quell’acqua ha un dolce suono,
vorrei rimanere, nonostante il tuono.
Ma un dolce sogno di già
mi sveglia e sono in città.
La farfalla
Un giorno una farfalla
Mi si posò sulla spalla;
io l’accarezzai e lei volò via
e così finì la mia allegria:
nel battito d’ali di una farfalla.