
Mentre marciavo dietro lo striscione della sezione “ANPI Napoli-Centro” che porta il nome di mio padre, l’ultimo partigiano di Napoli Antonio Amoretti, alcuni partecipanti al corteo mi hanno avvicinato, e, nel salutarmi, hanno ricordato la sua immancabile, e instancabile, presenza alle manifestazioni per il 25 Aprile.
Analoga esperienza al Teatro Totò, il giorno prima, e nel corso della mattinata, agli appuntamenti che, con i loro riti consolidati, hanno preceduto il corteo: al Largo Berlinguer, dove le voci di chi ha letto gli articoli della Costituzione, nel restituirci il suo respiro profondo, la sua bellezza, ci hanno esortati a fare quadrato e a difenderla; e a Piazza Carità, dove le autorità civili e militari, con la deposizione della corona al monumento a Salvo D’Acquisto, hanno celebrato l’Ottantesimo Anniversario della Liberazione, tra lo sventolìo dei vessilli delle associazioni antifasciste e combattentistiche e le note solenni della banda dei Carabinieri.
Teatro Totò, Largo Berlinguer e Piazza Carità: dovevo esserci in ciascuno di questi spazi dove si è riaffermato il valore irrinunciabile dei diritti di libertà, della giustizia e della dignità umana. Iniziative ricche e intense, non prive di momenti di commozione, come quando la nipote di Giacomo Matteotti, Elena, ha letto la lettera che la nonna scrisse al marito, nemico giurato dei fascisti, descrivendogli le minacce e il clima di isolamento che la costringevano, insieme ai suoi bambini, a restare chiusa in casa e a lottare giorno dopo giorno per la loro sopravvivenza.
Queste tre iniziative, per quanto belle e partecipate, difficilmente avrebbero, però, lasciato una traccia significativa nel dibattito pubblico e nella percezione collettiva se non ci fosse stato, come esito di un confronto ampio tra associazioni e organizzazioni di varia natura e matrice ideologica, l’imponente corteo che da Piazza Garibaldi si è snodato lungo Corso Umberto, Piazza Borsa e Monteoliveto, attraversando il centro della città; se non ci fosse stato chi ha creduto nel raccordo tra quegli spazi istituzionali e questa manifestazione, portando i propri striscioni e le proprie bandiere; se non fossero prevalse, nonostante alcune rinunce e incertezze, la volontà e la determinazione a gridare forte e chiaro: NO alle guerre, NO al fascismo, nelle forme e nei provvedimenti in cui si annida, NO alle ingiustizie.
A gridare forte e chiaro la propria rabbia contro politiche che minano alla base la nostra democrazia. E che a gridarlo siano stati migliaia di ragazze e ragazzi, rincuora, anche se non sento di condividere tutto di quello che ho ascoltato. E come d’altronde meravigliarsi? Non è questo che conta davvero, penso.
Quello che conta è che ci sono energie vive e vivaci, che esprimono bisogni e aspettative sul futuro, che pongono problemi concreti. Il 25 Aprile le ha mobilitate, chiamate all’azione. Una potenzialità, questa, che alcuni non hanno saputo cogliere, sbagliando. Agli errori, però, si può rimediare. Giunto a Piazza Dante, il corte si scioglie. In tanti decidono di recarsi a Parco Ventaglieri, dove la festa continua.
Nell’allontanarmi, avverto soddisfazione e contentezza: questa giornata è stata straordinaria, rigeneratrice, una giornata che nutre la speranza. Allo stesso tempo, penso, però, che l’esperienza vissuta darà i suoi frutti se sapremo coglierla soprattutto come un’occasione di riflessione. Se sapremo porci, tutti noi, le domande giuste: sui motivi – profondi o occasionali? – di alcune significative assenze; sulle ragioni di una miopia politica e culturale che ha fatto sì che una manifestazione unitaria, in realtà unitaria non lo è stata; sulle iniziative che sarebbe opportuno avviare per ampliare e irrobustire la rete di rapporti e di collaborazione tra realtà associative e istituzioni che condividono i princìpi costituzionali e i valori dell’antifascismo; sulle pratiche inclusive – e sulle parole coerentemente impiegate allo scopo – finalizzate ad avvicinare mondi esperienziali oggi distanti che, tuttavia, potrebbero riconoscersi reciprocamente nella loro dignità e identità per lottare fianco a fianco contro politiche e logiche di violenza e di sopraffazione materiale e simbolica.
Per fare avanzare la pace e la giustizia occorre costruire ponti, non muri: cominciamo allora dall’abbattere quelli che anche noi abbiamo contribuito e contribuiamo, talvolta inconsapevolmente, a erigere. Se ci riusciremo, le piazze, non solo in occasione del 25 Aprile, saranno ancor più gremite, riempite di colori, di voci festanti e di volontà determinate a farsi ascoltare, a farsi valere. Un grande impegno ci attende. Facciamo in modo che l’Ottantesimo della Liberazione sia solo l’inizio.