
La contiguità con il rischio spinge costantemente le città a ripensare le forme del loro progetto. Dalla rinascita dell’abitato di Ischia devastato dal terremoto nel 2017 e dalla frana nel 2022, fino al rifacimento della cattedrale di Notre-Dame di Parigi distrutta dall’incendio nel 2019, il tema ricorrente è quello della ricostruzione come necessità collettiva di ripristinare uno stato di equilibrio, di ristabilire condizioni di vivibilità e sicurezza.
“Ri-costruire” è una parola che ha un senso attuale e critico per il progetto di architettura e della città.
Il prefisso “ri” fa riferimento al progetto – per definizione impegnato a disegnare il futuro – sempre più applicato alla città esistente come entità che ha preso forma attraverso la lenta stratificazione di azioni collettive che hanno reso il territorio un palinsesto di natura, paesaggio, architetture e insediamenti. Un territorio identificato dai valori della storia, riconosciuti dalle comunità come il senso dei luoghi che abitano.
Dunque, “costruire futuro” vuol dire sempre più partire dalla “storia dei luoghi”, dalle tracce di lungo periodo, fisiche e immateriali, cioè legate alla dimensione sociale e culturale del territorio. Futuro e storia non sono un ossimoro: il loro nesso costituisce una prospettiva fertile del progetto contemporaneo che deve pensare gli assetti urbani, ma anche preservare i valori ambientali, storici, paesaggistici, e trasmetterli alle generazioni future.
La ricostruzione critica è un approccio antitetico alle pratiche estrattive e dissipative del modello della “crescita illimitata”, priva di consapevolezza dei limiti ecologici del pianeta e dei limiti culturali della “tabula rasa”, senza rispetto per le risorse non riproducibili, come quelle che generano la biodiversità dei nostri ecosistemi.
È antitesi al consumo di suolo, significa riconoscere e valorizzare l’identità locale, i caratteri storici degli ambienti di vita, le risorse e la storia degli insediamenti, degli usi, delle tradizioni, degli stili di vita.
Vuol dire salvaguardare il territorio nella pluralità dei suoi valori e, al contempo, creare sicurezza mitigando gli effetti dei rischi naturali e antropici in base alla considerazione del “metabolismo urbano” che scandisce i cicli di vita del territorio. Un progetto “circolare e adattivo” consente di affrontare le sfide della contemporaneità, di attivare pratiche rigenerative per il welfare e il benessere sociale, attraverso una pratica innovativa della sostenibilità.
“Fare di più con meno”, significa lavorare sulla questione ambientale, sulla riduzione dei fabbisogni energetici, della produzione di CO2, sulla mobilità sostenibile e sull’estensione dello spazio pubblico, sul restauro dei paesaggi identitari: queste azioni sono il fulcro della “ri-costruzione” come guida del progetto contemporaneo.
Un progetto capace di lavorare alla scala del territorio e dell’architettura, dell’edificio e dello spazio urbano, attraverso visioni che incorporano saperi multidisciplinari, paesaggistici, tecnologici, come forma creativa di nuove immagini dell’urbano. Il dialogo tra istituzioni, cittadini, tecnici e società mostra l’opportunità di riconfigurare l’architettura e lo spazio urbano come beni comuni e autentiche forme di innovazione sociale.
La “ri-costruzione”, in particolare nel Mezzogiorno di Italia, vede un importante campo di sperimentazione, dalla trasformazione post-fordista della civiltà industriale in dismissione, alla ricostruzione post-disastro causata da eventi calamitosi (sismici, idrogeologici, vulcanici) e alla rigenerazione di territori in crisi, dalle periferie pubbliche alle “aree interne”.
Il rilancio di politiche di pianificazione e sviluppo urbano e metropolitano, insieme alla redazione del nuovo Piano paesaggistico regionale della Campania e all’innovazione del Piano di ricostruzione di Ischia, sono segnali concreti di buone pratiche. Queste “prove di innovazione” invitano a riflettere su quanto il tema della ricostruzione contribuisca a definire oggi un nuovo ruolo sociale e politico dell’architettura e dell’urbanistica come discipline ineludibili per progettare possibili traiettorie di sviluppo necessarie al benessere delle comunità e dei territori.??????????????????????????L’autore è direttore del Dipartimento di architettura (Diarc) dell’università degli studi Federico II