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“Colei che resta”, i segreti di Bekià tra amori e morte

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È un tema antichissimo e sempre attuale quello delle donne che assumono, per sopravvivere, un ruolo maschile, un tema che torna a incarnarsi anche in realtà vicinissime e oscurate come quella delle vergini giurate albanesi. A illuminare (di poesia e scrittura) un tema così feroce è l’esordio di René Karabash, alias Irene Ivanova, attrice pluripremiata del cinema bulgaro, regista, sceneggiatrice e scrittrice, fondatrice dell’accademia di scrittura “Rabbit Hole”, che con “Colei che resta” (BEE edizioni), firma un romanzo visionario e lirico, che la meravigliosa traduzione di Giorgia Spadoni, già vincitrice di prestigiosi premi per la traduzione di “Circo Bulgaria” di Dejan Enev, fa risplendere e risuonare, come i secchi di latte che cozzano come campane, immagine-cuore della storia.

Sulle alpi albanesi la giovanissima Bekià, il cui padre sperava fosse maschio, è destinata al matrimonio e a obbedire alle leggi del Kanun, sistema di regole patriarcali che misura il valore delle donne in buoi e stabilisce le strategie del sangue. Bekià ha un fratello, una madre e ama Dana, una sua coetanea. Per sfuggire al suo destino non può che diventare vergine giurata, rinunciare all’amore, alla femminilità, ai figli, portare una pistola, indossare i pantaloni, obbedire alle leggi dell’omicidio e della vendetta e prendere il nome di Matja.

A morire per primo è il padre, Murrash, che la figlia uccide, ma poco a poco l’intera famiglia si distrugge mentre il segreto ben conservato dell’amore di Bekià per Dana salta fuori, testimone il fratello. “Il metallo più prezioso in Albania è la libertà”, ripete Bekià: “Una donna in Albania costa venti buoi”, non guarda gli uomini negli occhi, non va alla taverna, cresce i bambini, lava, cucina, porta il latte in latteria: ma ormai a Bekià hanno dato un fucile e un orologio, la morte e il tempo, può fumare e bere, le hanno insegnato a stare a gambe larghe. Il suo nuovo nome è Matja, “l’ometto di papà”: “che le donne mi taglino i capelli, e che diventino cenere i miei abiti, e che i vestiti maschili diventino mia schiena, gambe e pelle”. Eccoci sulle Prokletije, le Montagne Maledette, “immobile armata di pietra riunita dalle mani del diavolo”, percorse da “sentieri lupeschi”. Solo la grande neve può spaventare Matja, maschio a tutti gli effetti, che si sfrega le ferite col tabacco per non andare dal dottore, poiché è una vergogna morire di malattia. Il primo gioco di Bekià è stata una pistola di legno donatale dal padre con cui ha finto di sparargli, presagio del gesto che farà alla fine e da cui il romanzo (o poema?) ha inizio.

“Se l’ospite lo uccidono davanti alla tua porta, se l’ospite non ti ha ancora voltato le spalle dopo che l’hai congedato, e sta ancora guardando verso di te, tu sei tenuto a vendicarlo, tuo dovere è versare sangue per il tuo ospite”: pare impossibile che questo accada a cinquecento chilometri dalla Bulgaria, da dove scrive René Karabash, pare impossibile che questo accada di fronte all’Italia, ma questa, come ci ricorda l’autrice, è la storia del mondo. Della Calabria, della Campania, della Sicilia, della Puglia.

Mentre ripenso alle guerriere letterarie, Clorinda, Marfisa, Mulan, alla Camilla dell’Eneide, a Bradamante, alla tracia Arpalice, alle regine guerriere a Palmira o in Cina, in Inghilterra, Vietnam, Mongolia, a Maria la Puteolana, soldata di Roberto D’Angiò narrata da Petrarca, a Lady Oscar, eroina di manga, ho di fronte il tradimento che un maschile spaventato pretende dal femminile: “l’amore non sottostà al genere, alle leggi, al tempo”, scrive Karabash, “se una persona va contro se stessa, anche la vita andrà contro di lei”. Ma se siamo in pace con noi stesse, “quello è il momento in cui Dio ti tiene per mano, e ciò che devi fare non è altro che sorridere e seguirlo”. “Colei che resta” è un incanto di neve e sangue, furioso e attuale: leggetelo.

Fonte: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2025/02/15/news/colei_che_resta_i_segreti_di_bekia_tra_amori_e_morte-424006342/?rss

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